Ancora sui preti in trincea nella prima mondiale
«Caro M.S.A., non ho capito bene il senso del dossier Preti in trincea. O forse sì. Mentre condivido tutto ciò che c’è di moralmente e umanamente detestabile nella guerra, accetto meno ciò che sembra voler essere una “giustificazione” per l’istituzione dei cappellani militari. A quanto dite è stato il generale Cadorna a introdurre la figura del cappellano militare. E il generale non era il Papa. Se poi gli ecclesiastici erano sottoposti agli obblighi di leva come qualsiasi altro cittadino è chiaro che non potevano rifiutare le stellette. Ma potevano, la Chiesa avrebbe potuto e forse dovuto essendo una Istituzione spirituale più che umana di respiro mondiale, evitare di divenire un ente alleato dell’Esercito italiano, quando nel nome di Cristo la Chiesa doveva essere alleata con tutta l’umanità, austriaci e tedeschi compresi. Leggo nel dossier: “Per capire il passato dobbiamo affrontarlo con la mentalità del passato. Già, troppo comodo giudicare dal pulpito del 2017”. Queste mi sembrano comode parole di giustificazione. Un errore è sempre un errore anche se un tempo non lo si percepiva come tale». Lettera firmata
«Gentile direttore, ho apprezzato molto l’articolo Preti in trincea. È un argomento di cui si parla poco e solo per contestare il ruolo dei cappellani militari. In ambito cattolico ci sono dei movimenti che contestano i cappellani militari e addirittura si appellano al Presidente della Repubblica perché il 2 giugno non faccia sfilare le forze armate. Dobbiamo dire grazie ai giovani che scelgono di entrare nelle forze armate, e per fortuna il popolo italiano le ama. Pensiamo quanto si stanno prodigando la nostra Marina e la Guardia costiera per salvare tanti immigrati. Il cappellano militare ha un ruolo che è di grande aiuto per i giovani militari (e non solo credenti) sia in pace che in guerra. Se non ci fossero, questi ragazzi non avrebbero la possibilità di un’assistenza spirituale e non solo». Lettera firmata
Il dossier Preti in trincea uscito nel numero di settembre ha avuto diversi riscontri (nel senso di parecchi), e pure riscontri diversi (nel senso che sono stati di differente tono), come testimoniano gli spezzoni di lettera sopra riportati. Ho voluto personalmente che il giornale si occupasse dei cappellani militari, e in generale degli ecclesiastici impegnati nel primo conflitto mondiale, a completamento dell’attenzione che il «Messaggero» sta avendo per il centenario dell’«inutile strage», con un dossier all’anno. Siamo partiti con Le parole della grande guerra (luglio-agosto 2014), per accogliere poi il punto di vista femminile con La grande guerra delle donne (novembre 2015) e quindi proponendovi la storia rimossa de I fucilati dimenticati (febbraio 2016). Non vi anticipo come chiuderemo il ciclo nel 2018!
Torniamo a Preti in trincea, argomento affatto facile che abbiamo cercato di trattare con rigore non accondiscendente, nei limiti degli spazi disponibili (un esempio di allargamento possibile: il ruolo di Benedetto XV proprio nel limitare, in nome della fratellanza universale cattolica, gli eccessi delle chiese nazionali). Non abbiamo nascosto le criticità e le drammaticità di quei duri giorni, tra inenarrabili sofferenze e strazianti drammi di coscienza. Sì, è un dovere fare la fatica di mettersi al livello di questi nostri avi, di scrutarne i cuori guardandoli negli occhi – come suggeriva l’ultima foto del dossier, se ricordate –, anche sospendendo il giudizio, per quanto possibile. Se poi qualcuno si sente un uomo e un cristiano migliore, veda lui come regolarsi: le pieghe della storia offrono mille occasioni per dire «io avrei fatto diversamente» (sottinteso: meglio). Compito del giornale non è inchiodare a sentenze, ma presentare i fatti nel modo più completo possibile, affinché voi lettori possiate costruirvi un’opinione informata. Di conseguenza, gioisco dei…«diversi riscontri diversi» che questo come altri articoli possono provocare. Buona lettura del «Messaggero di sant’Antonio»!