Dear Homeland, Cara Italia
Le lettere sono state, per lungo tempo, l’unico modo di tenere vivi i rapporti tra gli emigranti e i loro Paesi d’origine. Un mezzo per raccontare e raccontarsi su carta, atteso con trepidazione. Ancora oggi, nonostante l’immediatezza della tecnologia e l’iperconnessione, risultano essere una forma d’espressione preziosa, sebbene rara, che permette di riflettere e condividere pensieri senza la brevità e la freddezza di un sms o di una e-mail.
Proprio a una «lettera» si sono affidati anche alcuni ragazzi italiani in Australia che hanno preso parte a un progetto della giornalista italo-cilena Ada Francesca Rizzoli: «Dear Homeland» è un’iniziativa video realizzata da Sbs, emittente radio-televisiva australiana.
In una serie di quattro clip evocative e di impatto, Francesca dà voce a migranti di quattro nazioni: Italia, Siria, Somalia e Iraq. Nel caso dell’Italia, in pochi minuti, sono condensate le emozioni e i pensieri di una generazione che ha lasciato il Bel Paese per diversi motivi: chi per un lavoro, chi per una nuova opportunità, chi per rincorrere un sogno, o alla ricerca di qualcosa; e ora, guardandola da lontano, si sente di poterle parlare, seppure con sentimenti contrastanti.
Se da un lato, infatti, c’è la chiara mancanza della famiglia e di un luogo che abbia visto crescere questi ragazzi, li abbia nutriti e ispirati, dall’altro non può non trasparire del risentimento per un allontanamento visto, a volte, come una necessità o un’imposizione. «Gli italiani si meritano di più», afferma uno dei protagonisti, specialmente dopo che si mette a confronto la realtà della Penisola con quella di un Paese diverso.
«Cara Italia» è indubbiamente una lettera d’amore ma, come in tutte le storie, ci sono interrogativi, dubbi, distacchi più o meno temporanei, e qualche accusa: «È un gran peccato – dice Rocco, un musicista –: c’è tanto potenziale sprecato dietro a una serie di meccanismi arrugginiti». «Ho una domanda per te – chiede invece Erika, traduttrice –: perché chiudi la porta a chi hai cresciuto e formato? Io non mi sento una pecora nera, e spero che queste porte si apriranno». Emerge, infatti, la voglia di rientrare, a un certo punto, per quella «bellezza imbarazzante», per i sapori e i profumi di una terra che rimane dentro, che è la propria. La speranza dei ragazzi è che si riesca a cambiare passo, e che le cose possano migliorare.
«Fidati di noi – esorta Alberto, designer –. So che ne hai viste tante, che hai molta esperienza, ma fidati di noi. Abbiamo visto altre realtà, dacci una possibilità».