I frati francescani tra i terremotati
Cari amici in cammino vocazionale, il Signore vi dia pace.
Tutti abbiamo negli occhi le immagini tragiche del recente terremoto che ha devastato il centro Italia, provocando distruzioni e morti. Un evento che nel cuore di molti ha spezzato anche la voglia di vivere, il desiderio di ricominciare, così che il domani si presenta cupo e incerto, senza prospettive. In questi mesi, non sono certo mancati piccoli e grandi segni di fede, amore, dedizione, vicinanza e gratuità, che invitano a guardare oltre, per scorgere ancora i segni di una resurrezione, di un'alba che si fa strada e vuole sorgere pur fra le macerie e le tenebre. Ma... il cammino è ancora lungo!
Al riguardo, una fiammella di speranza, per quanto semplice e modesta, è venuta anche dai frati minori presenti nella zona di Amatrice. Si tratta di una piccola comunità francescana a servizio di una Chiesa e di un territorio vastissimo e frammentato (ben 69 frazioni) colpito pesantemente dal sisma. Dal «convento di plastica», come lo descrive fra Massimo, ovvero il container, ogni giorno i frati si spostano per visitare famiglie e ammalati e anziani e così portare una parola di conforto, un piccolo aiuto, prestare un servizio.
Di seguito riporto la bella testimonianza di un giovane frate di Padova, fra Giambattista Scalabrin (per tutti fra Giambo!) che ha condiviso alcuni giorni con i fratelli del «convento di plastica»: un racconto che non nasconde dolori e fatiche, ma anche la vocazione e la missione propria dei frati così come lo stesso san Francesco la ricevette tanti secoli fa dal Crocifisso e la consegnò ai suoi fratelli: «Va e ripara la mia casa...non vedi che cade in rovina»!?.
Al Signore Gesù sempre la nostra lode.
Fra Alberto (fra.alberto@davide.it)
Padova 17 febbraio 2017 - festa del beato Luca Belludi
Amatrice… Amarezza… Amata… Ama…
Questo titolo, trovato sui social network, mi ha colpito e l’ho sentito mio ed è da questo titolo che voglio partire per raccontare quest’esperienza di servizio tra i terremotati.
Nella parola Amatrice ci sta sia l’amarezza di un popolo che ha perso tutto – dai familiari, alla propria casa, alle proprie cose, alle proprie abitudini di ogni giorno e che con fatica cerca di ripartire –, sia la parola Amata, perché Amatrice, questa terra frantumata dal mostro del terremoto, ha bisogno di essere amata.
Sabato 4 febbraio dopo aver chiesto ai superiori se, come frati minori conventuali, potevamo fare qualcosa per i terremotati del centro Italia, per giunta colpiti successivamente dall’abbondante nevicata di gennaio, mi è stata data la possibilità di partire per raggiungere alcuni frati che stanno operando a Santa Giusta, una frazione di Amatrice (verrò a sapere dopo che Amatrice ha 69 frazioni), dove dal mese di novembre i frati minori della provincia religiosa del Lazio si sono impegnati a stare con le popolazioni colpite dal terribile sisma, che ancora sembra non voler smettere.
Ad accogliermi a Santa Giusta c’è fra Massimo Fusarelli, che ha ricevuto dal vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, l’incarico di stare con la gente per portare loro un piccolo lume di speranza. Insieme a fra Massimo ci sono altri frati che, a turno, si accordano con lui per vivere questa esperienza: la comunità francescana in terra terremotata è composta da tre/quattro frati, anche perche il «convento di plastica», come lo descrive fra Massimo, ovvero il container, più di questo numero non ne può accogliere.
Un’esperienza molto semplice, di preghiera, condivisione, lavoro con la gente e di ascolto. Le poche famiglie disperse per le frazioni sono rimaste senza parroci e quindi, dal punto di vista pastorale, è tutto da ricostruire.
La giornata è molto semplice: alla mattina, dopo la preghiera delle Lodi, c’è l’organizzazione della giornata, dove alcuni di noi si incontrano con gli operatori della Caritas alla tenda centrale di Amatrice, sia dedicando il proprio tempo all’ascolto e alla consolazione delle persone, sia distribuendo i viveri arrivati in grandi quantità da tutta Italia. Altri invece partono per trovare le famiglie disperse per le frazioni, per capire e sondare i molteplici problemi che tuttora vivono, a distanza di mesi, dopo il terremoto. C’è gente che, dal 24 agosto – ovvero dalla prima scossa – vive ancora in roulotte (un conto è starci nel periodo estivo, altro è viverci nel periodo invernale, sapendo che ci troviamo a circa 1000 metri s.l.m.), perciò andare per le famiglie è fondamentale per capire chi ha bisogno non solo del cibo e dei vestiti, ma anche di altre necessità, come il container, le stufe, le lavatrici, ecc., e per affrontare l’inverno più serenamente.Il nostro sostegno è anche molto pratico, infatti si cerca di dare una mano anche agli agricoltori e agli allevatori, che hanno perso vacche e/o pecore, morte sotto il crollo delle stalle, oppure uccise a causa del freddo e della grande nevicata del 18 gennaio. Il nostro impegno è stato anche quello di dare una mano a sistemare e a smistare la gran quantità di derrate alimentari che ancora arrivano e successivamente portarle alle mense e ai magazzini distribuiti nei vari paesi.
Ogni giorno si celebra la Messa nei container di alcune frazioni oppure nel nostro «convento di plastica». Per i pranzi e le cene si va alla mensa in una frazione vicina a Santa Giusta, e insieme alla gente si condivide il pasto sotto le tensiostrutture: anche quello è un bel momento di ascolto e di conforto, dove si cerca di spronare le persone a non mollare, nonostante la sfiducia sia veramente grande. Alla sera con le poche persone di Santa Giusta si celebra l’Eucarestia ringraziando il Signore per i tanti doni ricevuti nonostante tutto…
Ancora oggi c’è gente arrabbiata – e ci sta! –; gente che non si dà pace perché in pochi minuti si è vista crollare la fatica e i sacrifici di anni di lavoro e di sudore; gente che ha perso in un colpo famigliari e amici, e che purtroppo oggi vive alla giornata e sfiduciata; gente buona, che a volte si fa scrupoli a ricevere un po’ di latte, olio, pasta, detersivi, perché abituata a donare sempre quello che ha; ma anche gente che ha paura di rimanere senza niente e allora, in tutti i modi, cerca di accumulare cose che forse non userà mai; gente felice e contenta quando li si va a trovare nei loro container, che ti offrono una tazzina di caffè per farti sentire a casa loro; gente che, con tante lacrime, apre il proprio cuore e condivide l’amarezza che si porta dentro; gente che ringrazia i frati perché sono lì con loro, perché ahimè, purtroppo, alcuni preti li hanno abbandonati, lasciando le frazioni a loro affidate prima del sisma; gente che, con coraggio, ha tirato fuori dalle macerie persone vive ma anche tanti morti; gente semplice, che se deve dirti qualcosa, te lo dice senza troppi giri di parole; gente che con fatica torna a sorridere; gente come Mariachiara, una ragazzina di 13 anni, che si è presa cura dei nonni anziani stando con loro semplicemente nei container, aiutandoli a vestirsi e a lavarsi…
Durante i giorni della mia permanenza ad Amatrice c’è stata anche la presentazione, da parte del vescovo di Rieti, del libro Gocce di memoria in cui una giornalista, incaricata dal vescovo stesso, ha tracciato le 248 biografie delle persone morte durante la prima scossa sia ad Amatrice sia ad Accumoli, l'altro Comune seriamente danneggiato. Scrive cosi il vescovo nell’introduzione del libro: «…i nomi che seguono non sono una lista ne una lapide, ma una memoria. Affetti, relazioni, contatti, che sono stai interrotti bruscamente la notte del 24, ma non distrutti, perché non c’è nulla di più tenace dell’amore che mai cede alla smemoratezza. Ricordare i morti è l’azione più gratuita al mondo. La memoria non è mai inerte e non è solo nostalgica, ma si trasforma in consapevolezza quando spinge ad affrontare il presente ancora prima del futuro. Occorre avere pazienza con se stessi nel riprendere i fili di questo momento così drammatico e inatteso. Bisogna volerlo assieme – scrive ancora il vescovo –, perché è il ramo a cui siamo tutti appesi. Ecco allora queste piccole gocce possano sorreggere il nostro incerto cammino dentro una faglia che non è solo fisica, ma anche emotiva».
Se all’andata sono partito carico di diversi viveri raccolti dalle comunità parrocchiali dell’Arcella e di Praglia (nel padovano, ndr), al rientro sono tornato sì vuoto di cose, ma pieno di volti, storie, condivisioni e come ho già detto, tanti pianti di questo popolo ferito dal terremoto. Io spero di ritornarci nuovamente, e mi auguro che nei prossimi mesi altri frati possano dedicare un po’ del loro tempo per questa terra devastata e frantumata, in particolare per stare vicina a questa gente, buona, semplice e accogliente, che ha solo il desiderio di vedere dei religiosi che stanno con loro, accompagnandoli così a riprendere in mano i fili delle proprie vite spezzate.
Desidero ringraziare fra Valerio Folli che ha fatto da tramite con i frati minori, il ministro provinciale fra Giovanni Voltan, e i frati della mia comunità, che hanno accolto subito questo mio desiderio di partire. Ringrazio ancora la comunità parrocchiale dell’Arcella che mi è stata vicina attraverso sms e telefonate.
Grazie Amatrice!
Fra Giambo
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