L’ingegnere italiano di Harvard
A vederlo somiglia alla tuta di Superman. Se pensiamo a come entra in azione, il richiamo è ai film di animazione tipo Avatar. Il suo nome è ExoSuit, funziona come un esoscheletro, si indossa come un paio di pantaloni. Non siamo negli studi della Marvel, ma nella prestigiosa università di Harvard.
Nel team di scienziati, una trentina, che ha inventato questa tuta intelligente, capace di intuire e aiutare il movimento grazie a sensori, c’è anche un giovane ingegnere italiano: Fausto Antonio Panizzolo, 35 anni, padovano. Ingegnere biomedico, si è specializzato in biomeccanica e controllo motorio.
Una laurea a Padova, poi la decisione di lavorare all’estero. «Nessuno mi chiese di rimanere – spiega Fausto Antonio (Antonio per il nonno, per il fatto che è nato a Padova e per la devozione al Santo, ndr) –. In verità non c’era molto interesse nei miei confronti. Così ho iniziato a guardarmi in giro.
Non bisogna mai scoraggiarsi. Per essere fortunati bisogna provarci. Ho così inviato curriculum a università e centri di ricerca che si occupassero di biomeccanica. Mi sono subito arrivate risposte positive». Studi e ricerche di cui Fausto Antonio aveva avuto un primo assaggio già con la tesi di laurea eseguita alla Scuola Superiore di studi universitari e di perfezionamento Sant’Anna di Pisa.
«Qui ho partecipato alla costruzione dell’esoscheletro di una mano. Subito dopo sono partito per la University of Western Australia di Perth. E poi per il Canada, Università di Calgary, luogo all’avanguardia nella progettazione della scarpa ideale: per giocare meglio a basket o per correre più veloci. Poi lo sbarco negli States, ad Harvard.
«Fu un mio professore a dirmi che stavano cercando un profilo simile al mio. Sono seguiti contatti via mail e Skype. Una selezione dura, ma rapida. La differenza con l’Italia? Negli Usa si va avanti per meritocrazia, la stessa ricerca gode di strutture, finanziamenti e di una cultura all’avanguardia. In Italia siamo molto bravi, creativi, innovativi, ma vige l’arte di arrangiarsi e non sempre funziona».
Il sogno del giovane ingegnere è sempre stato quello di tornare nel suo Paese per riportare qui le cose che ha imparato con le sue esperienze all’estero. Da qualche mese è rientrato e ha avviato una startup. Si chiama Moveo Walks. «La sede è a Boston, ma la ricerca avviene in Italia. Ci lavora anche un amico, un altro italiano che si trova ad Harvard.
Vogliamo realizzare un dispositivo che aiuti le persone a camminare. Stiamo lavorando sodo, abbiamo già cinque dipendenti, i primi finanziamenti e segnali di interesse. Noi siamo la somma di tutto quello che abbiamo letto, vissuto, visto e incontrato: se io sono così non è solo per i tre Paesi in cui ho vissuto e le decine di città che ho visto, ma soprattutto perché sono nato qua. Dovunque si vada e qualsiasi cosa si faccia, le radici ce le portiamo sempre dietro. E sono proprio le radici che ci tengono su quando il vento soffia forte».