Impresa 4.0: Che lavoro nascerà?

Avanzate tecnologie stanno cambiando modelli produttivi e organizzazione del lavoro. Secondo gli esperti siamo nella quarta rivoluzione industriale. Ma di che cosa si tratta e come inciderà sul nostro lavoro?
01 Maggio 2018 | di

Siamo agli albori di una nuova rivoluzione industriale. Lo dicono gli esperti, anche se alcuni affermano che è presto per esserne sicuri. Se la Storia non mente, a ogni rivoluzione in campo produttivo è seguito un periodo di riduzione di posti di lavoro e di scomparsa di vecchi mestieri, per poi passare a una graduale fase di riequilibrio. È stato così per le rivoluzioni precedenti, trainate rispettivamente dalla macchina a vapore (1794), dall’elettricità e dal petrolio (1870) e dall’informatica (1970). Quella in corso, battezzata dai tedeschi nel 2013 Industry 4.0, sarebbe invece l’esito di un elevato avanzamento tecnologico in diversi ambiti, tecnologie poi messe in connessione, che si potenziano l’un l’altra. Tutto è pronto per scenari di produzione e di lavoro impensabili quindici anni fa. La novità a colpo d’occhio è che questa rivoluzione tende a essere molto più veloce, multiforme e pervasiva delle precedenti, perché le tecnologie che vi stanno alla base fanno in molti casi già parte della nostra vita, come dimostrano gli smartphone e l’onnipresenza della Rete internet.

Come ogni rivoluzione, l’industria 4.0 non è un treno da cui si può scendere, pena la perdita di competitività. Sulla carta è anche un treno pieno di possibilità per gli esseri umani, a patto che chi è al comando sappia guidarlo nel modo migliore per tutti: lavoratori, imprenditori e società. E questa ipotesi non è affatto scontata.

Scenari da una rivoluzione

Ma andiamo per gradi, cercando di capire più in profondità che cos’è l’industria 4.0. Alessandro Perego, direttore del Dipartimento di Ingegneria gestionale del Politecnico di Milano e direttore scientifico dell’Osservatorio industria 4.0, risponde con un esempio. «Pensate alla produzione di un’autovettura. Un’auto già oggi è piena di elettronica e di sensori. Potenzialmente, mentre si muove, può raccogliere una quantità enorme di informazioni. Siamo arrivati al punto che persino i pneumatici sono intelligenti. Hanno un sensore talmente sofisticato che informa non solo sullo stato del pneumatico, ma anche su quello dell’autovettura, sulla condizione del manto stradale e anche se sta piovendo o meno in un dato momento». Ebbene, tutti questi dati, raccolti dai diversi sensori e mandati a una rete intelligente, sono utilissimi per più soggetti. Intanto per il produttore, che può avere un quadro di come sta funzionando la singola vettura e quelle dello stesso tipo, cosa che gli consentirà di progettarle meglio in futuro.

Le stesse informazioni sono preziose per monitorare il funzionamento della vettura, prevedere quando e come avrà un guasto, organizzare un nuovo sistema di assistenza post-vendita. Non solo, presto ogni autovettura «parlerà» con le autovetture che si trovano in quel momento nella stessa zona e «questa rete di autovetture connesse aumenterà le informazioni sul traffico e la possibilità di prevenire situazioni di rischio, permettendo una viabilità intelligente».

L’avrete notato: a differenza di un tempo, non c’è più una divisione netta tra produttore, consumatore, servizi, logistica, territorio. È tutto collegato: «La parola chiave dell’industria 4.0 – chiosa il professore – è connessione». Una possibilità, quella appena descritta, estensibile a tutti gli oggetti, a tutti i servizi e a tutti i sistemi produttivi.

Una delle caratteristiche del 4.0 è che gli oggetti sono sempre più personalizzabili. «Per esempio, presto ogni atleta potrà avere la scarpa realizzata sulla scansione del suo piede». Non più prodotti fatti in serie, quindi, ma oggetti realizzati a misura di cliente, attivati dalla sua domanda, collegati a una filiera in molte parti robotizzata. Il risultato è più flessibilità, più qualità, più efficienza.

L’era delle supertecnologie

A rendere possibile l’industria 4.0, spiega Perego, sono due grandi gruppi di tecnologie. Il primo gruppo è rappresentato dalle innovazioni avvenute nei sistemi di produzione negli ultimi anni: «Già oggi i robot intervengono nel sistema produttivo molto più intensamente di un tempo. Si è poi passati da una produzione per asporto di materiale – cioè tolgo il superfluo da un blocco di metallo fino ad arrivare alla forma desiderata – a una per addizione di materiale (additive manufacturing), cioè aggiungo materiali a strati successivi fino a quando raggiungo la forma desiderata». L’esempio tipico è la stampante 3D, che stampa oggetti in tre dimensioni, progettati al computer.

L’altro gruppo di tecnologie alla base dell’industria 4.0 sono le tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni. «Gli oggetti, dagli smartphone al televisore, agli elettrodomestici, alle automobili, sono stati riempiti di sensori capaci di leggere molti parametri: la velocità, la temperatura, la posizione ecc. Tutti questi sensori sono collegati a un’intelligenza centrale, che può usare in diversi modi i dati raccolti (Big Data). Questa innovazione si chiama “Internet delle cose”».

L’industria 4.0 ha inizio quando questi due grandi gruppi di tecnologie, cioè l’innovazione nei sistemi produttivi e l’evoluzione delle tecnologie dell’informazione, vengono trasferiti nel mondo industriale. I sensori, che prima erano solo negli oggetti, «oggi sono inseriti nelle macchine produttive, consentendo di controllare e razionalizzare ogni fase di produzione. Dotati di sensori possono essere anche le altre due risorse del sistema produttivo 4.0: i prodotti stessi, durante tutto il processo di lavorazione, e i lavoratori, magari con l’intento di monitorare la sicurezza. Queste tre risorse sono connesse e interagiscono».

Il rovescio della medaglia

Inutile negarlo, uno scenario di questo tipo fa emergere due sensazioni contrapposte: l’entusiasmo dinanzi alla consapevolezza delle possibilità ma anche l’inquietudine per gli eventuali rischi. Che fine farà il lavoro umano? Chi ci assicura che questa rivoluzione non si appiattisca sull’efficienza? Chi guiderà i processi e riformulerà i diritti dei lavoratori in base al nuovo assetto? Abbiamo allargato queste domande anche a Chiara Mancini, coordinatrice di Idea Diffusa, la piattaforma digitale, creata un anno fa dalla Cgil, che mette in rete sindacalisti, esperti e industriali per comprendere i cambiamenti dell’industria 4.0 e per cercare di governarli.

«Dal nostro osservatorio – afferma Mancini – vediamo che l’impatto delle tecnologie sul mondo del lavoro non è univoco. In alcuni casi le macchine liberano i lavoratori dal lavoro esecutivo e fanno sì che essi possano dedicarsi ad attività ad alto contenuto intellettuale e creativo». Ma esiste, tuttavia, un’altra possibilità. Se il processo non viene governato, allora l’unico interesse sarà abbassare i costi, con gravi perdite di quantità e qualità di posti di lavoro. Il lavoratore diventerà così una mera appendice del processo: «In questo caso – spiega Mancini –, continuerà ad aumentare il lavoro povero, cioè precario, pagato poco e poco tutelato. L’esempio tipico sono i cosiddetti gig works, lavoretti saltuari a richiesta, che sono proliferati con le nuove piattaforme digitali». Esempi di gig workers sono le persone che mettono a disposizione la loro auto come taxi o che consegnano merci ordinate al computer. Negli Stati Uniti, dove il fenomeno è esploso, ci sono già 4 milioni di persone che lavorano attraverso applicazioni online, ma potrebbero diventare 7,7 milioni nel 2020.

Tuttavia, anche senza queste derive è difficile prevedere il saldo tra posti di lavoro distrutti e creati. «Sul tema io mi sento ottimista – interviene Perego –. Questo scenario d’innovazione potrebbe consentire, se guidato da persone intelligenti, di crea­re prodotti e servizi nuovi e quindi nuovi mercati e posti di lavoro».

Le sfide dell’innovazione

Il «se» del professor Perego ci riporta al «dunque». Qual è il modo più intelligente per guidare un processo d’innovazione così veloce e complesso? «L’unico modo – afferma Mancini – è che tutti gli attori coinvolti nel processo intervengano, si confrontino, creino un nuovo inquadramento e nuove regole», dalla politica agli imprenditori, dai sindacati alle istituzioni, dai lavoratori ai territori. «Bisognerebbe, insomma, non limitarsi a rimediare alle conseguenze negative dell’innovazione, ma provare a indirizzare l’innovazione stessa, anche a beneficio della sostenibilità ambientale e sociale».

La sfida più grande, a detta di tutti gli esperti intervistati, è la formazione dei lavoratori. Un report del World Economic Forum stima che il 65 per cento degli alunni che oggi iniziano le elementari farà un lavoro che ancora non esiste. Ciò significa che la velocità dell’innovazione è tale che senza un adeguamento costante delle competenze sarà impossibile rimanere sul mercato del lavoro. «Bisognerà arrivare a un diritto alla formazione permanente dei lavoratori» chiosa Mancini. Anche il sistema educativo può agire e migliorarsi, ma fino a un certo punto: «La scuola e l’università possono formare un substrato, le categorie mentali – afferma Perego –, ma non possono preparare a tutti i cambiamenti che accadranno nei quaranta, cinquant’anni di vita lavorativa». La responsabilità, a questo punto, diventa anche personale: «Ogni lavoratore è chiamato a dedicare tempo ed energie alla propria formazione, specie se percepisce un’inadeguatezza. È anche un’occasione per rimettersi in gioco».

I troppi verbi al futuro e al condizionale fin qui utilizzati stanno a indicare che la via della nuova rivoluzione industriale non è affatto tracciata e che vale la pena vegliare sul suo sviluppo, a tutti i livelli. Ma a che punto siamo?

Dal punto di vista istituzionale, il precedente ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, nel 2016 ha varato il Piano industria 4.0, ribattezzato in seguito Impresa 4.0, che prevedeva incentivi per le industrie che volevano investire in tecnologia. Nell’ultima legge di bilancio si è fatto un passo avanti: gli incentivi sono stati estesi agli investimenti in formazione sul 4.0. Rimane sulla carta la cabina di regia per guidare l’intero processo, pure presente nel progetto originario.

Di fatto, quindi, sono le imprese in prima persona per il momento a sperimentare in concreto questa nuova fase, mentre la sensazione è che gli altri attori del processo si stiano, per così dire, «organizzando». La situazione resta molto variegata. Al momento, le imprese più avanzate nel 4.0 sono quelle dell’automobile e dei motori. Lo scenario più verosimile è che ci sarà un periodo di convivenza tra vecchie e nuove tecnologie. «Ci metteremo anni, quanti è difficile dirlo – afferma Perego –, prima di vedere questo tipo di evoluzione prendere corpo pienamente. Le innovazioni, anche se entrano nelle aziende, si scontrano con i modelli organizzativi, con le persone e con i decisori. Starà quindi molto anche al singolo imprenditore, nel momento in cui introduce una nuova tecnologia, essere capace di guardare non solo all’efficienza, ma a tutti gli altri aspetti, rendendo i dipendenti compartecipi della nuova avventura imprenditoriale che è il 4.0».

Nel Dossier, pubblicato nel numero di maggio 2018, l'opiniome di Filippo Santoni De Sio, filosofo morale che insegna etica delle tecnologie all'università di Delf in Olanda, uno degli atenei che vanta gli studi tecnologici più avanzati e il caso di Dallara, leader mondiale delle automobili da corsa, che ha saputo coniugare l'impresa 4.0 con l'occupazione e il rispetto per il territorio e la sua cultura. Leggilo per intero nella nostra versione digitale. Provala subito!

Data di aggiornamento: 01 Maggio 2018

1 comments

6 Maggio 2018
Purtroppo questo articolo non considera una realtà molto amara: gli schiavi costano meno dei robot! Lo scenario che stiamo vivendo e che andrà estremizzandosi con il reddito di cittadinanza è di un'insieme di Paesi (il blocco Occidentale) che potrà arrogarsi il diritto di indebitarsi illimitatamente, contando sulla polizia internazionale americana, a discapito dei Paesi poveri, produttori sfruttati di tutti i manufatti (senza robot!). Ecco quindi che dietro al "grande peccato" dell'Occidente, che tenta di affrancarsi dal lavoro grazie alla quarta rivoluzione industriale, ne sta un altro, come indicato da Papa Francesco, quello dell'indifferenza di chi continua a pretendere di avere: sanità pubblica, pensione, controllo delle frontiere, protezione militare, istruzione gratuita, ecc. Chi scrive questo commento conosce bene la realtà del Politecnico di Milano ed il mondo industriale del Nord Italia. Ha vissuto inoltre 18 mesi a Shanghai ed ha toccato con mano la realtà di un popolo che corre per arricchirsi e poi si domanda cosa fare con questa ricchezza (e sorride quando sente parlare di democrazia). Raccomanderei a tutti i figli e, soprattutto nipoti, dei lettori del Messaggero, di fare un attento esame di coscienza prima di scegliere facoltà come economia o ingegneria gestionale: io lo ritengo un fallimento del nostro metodo educativo. Un giovane si trova così ad aver interiorizzato che quello che conta nel mondo sono il potere ed il denaro e cerca di mettersi al riparo di essi giocando la carta della competitività. Ma non dura!
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di Andrea

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