Le stagioni dell’inclusione

Il «ghetto» della disabilità è stato liberato dopo decenni di battaglie civili e giuridiche. Anche se qualche rigurgito ideologico ne minaccia ancora le irrinunciabili conquiste.
09 Novembre 2017 | di

Correva l’anno 1977. L’inverno era stato fin troppo lungo e gelido. Di carrozzine, nemmeno l’ombra. Piccoli squarci di sole, tuttavia, lasciavano intuire che la temperatura stava cambiando. Genitori, associazioni di base, privati cittadini e insegnanti di molte parti d’Italia iniziavano a prepararsi al cambio di stagione.

Oggi festeggiamo quarant’anni di lotte che permisero l’uscita dalle scuole speciali degli alunni con disabilità. Un percorso lungo e complesso che si può davvero comparare a un ciclo delle stagioni degno di Frate Indovino.

Allora le piazze erano diverse, ma la voce era univoca: la richiesta di dare dignità al percorso scolastico di tutti i bambini e i ragazzi. Ciò che ora i giovani danno per scontato, non lo era affatto in quel periodo freddo e buio. In quell’inverno di scuole «differenziali», rimanevano pesi da collocare, da nascondere, mai risorse da valorizzare.

Fu con la legge 118 del 1971 che si iniziò a scorgere il primo raggio di sole, cominciando cioè a parlare di «inserimento del bambino disabile nella scuola comune». Un passaggio con tanti «se» e tanti «ma», visto che il tutto restava legato a tabelle e a classificazioni sulla base del grado di disabilità, che permetteva di inserire sì gli handicappati purché fossero «poco handicappati».

Finalmente nel 1975 usciva il noto «documento Falcucci» in cui, per la prima volta, veniva condiviso un concetto fondamentale: «Non esistono bambini handicappati non educabili». Ed eccoci al ventennio primaverile 1977-1997. Il clima si era riscaldato e il gelo si stava sciogliendo. Una nuova successiva legge, la 517 del 1977, stabilì il diritto alla frequenza scolastica di tutte le persone con disabilità, gravi e meno gravi. Fu un momento di vera rottura che sancì un altro diritto importante: il «diritto alla visibilità».

Non più di 20 alunni per classe, la garanzia di un servizio socio-psico-pedagogico, e forme particolari di sostegno per tutti. Piccoli passi per cominciare a stare in mezzo agli altri, per uscire allo scoperto, pure senza giacca. Si cominciò ad assumere peso politico, ad acquistare un ruolo, a cambiare cultura.

Il solleone era arrivato. Dal 1997 al 2007 possiamo dire di aver goduto di venti caldi, di avere colto gran parte dei frutti di allora, investimenti e risorse spese per offrire servizi e tecnologie sempre più personalizzate. Si cominciò a parlare di PEI (Piano Educativo Individualizzato), ausili; a immaginare professioni educative capaci di mettere al centro la persona. Nondimeno, con l’arrivo dell’autunno, qualche foglia ha cominciato a cadere.

Dal 2007 al 2017 abbiamo assistito a un’involuzione, dal ritorno della parola «speciale» nei tanto criticati BES (Bisogni Educativi Speciali) a un’integrazione «in difesa» dove tutto è delegato agli insegnanti di sostegno, in origine nati a sostegno della classe e non del singolo bambino, a una didattica distribuita a «macchia di leopardo» con differenze importanti a livello regionale.

Questa storia, però, a differenza delle stagioni, non segue un ciclo naturale. Segue un ciclo umano. Quindi sta a noi addetti ai lavori decidere se, dopo questo autunno, vorremo vivere una nuova primavera senza dover necessariamente ripassare dall’inverno. E voi, di quale stagione vi sentite parte? Scrivete a: claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.

Data di aggiornamento: 09 Novembre 2017
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