01 Ottobre 2017

Riflessioni di una (ex) prof appassionata

La bellissima lettera di una docente neo pensionata apre una profonda riflessione sul futuro e sulla necessità di abbattere i pregiudizi per fare spazio al nuovo e al diverso.
L'insegnante gioca un ruolo fondamentale per il futuro delle nuove generazioni.
L'insegnante gioca un ruolo fondamentale per il futuro delle nuove generazioni.
Mlenny / GETTY IMAGES

«Quest’anno, per l’ultima volta, ho fatto parte della commissione degli esami di Stato della scuola media (…). Avendo raggiunto i famosi 66 anni e 7 mesi, dovrei essere felice di godere del meritato “riposo” e invece (…) provo un disorientamento e un’inquietudine tanto simili a una fitta dolorosa che trafigge il mio animo e anche il mio fisico (...). Per gli alunni della mia classe, terza C, erano i primi esami importanti, per me gli ultimi (…). Una vocina dentro di me mi chiedeva: “Dopo cosa farai? Come sarà la tua vita futura?”. Di colpo mi rendevo conto di avere paura, perché il tempo che mi rimaneva da vivere era piuttosto breve e le stagioni più belle le avevo vissute tra le quattro pareti di un’aula (...). La mia giovinezza era stata scandita da tante ore suonate da una campanella. Avevo bevuto ogni giorno la linfa vitale della giovinezza dei miei alunni adolescenti, avevo dato loro il mio sapere e un po’ della mia saggezza. Essi, in un reciproco scambio, mi avevano dato, ogni triennio, la possibilità di entrare nel loro mondo “supertecnologico” di adolescenti. Ho dovuto imparare a usare il telefonino, sono venuta a conoscenza delle loro prime cotte, dei loro dubbi, delle ansie e paure (…). Ho cominciato a insegnare molti anni fa, dopo aver superato vari concorsi, in un istituto superiore del mio paese che per me era difficile raggiungere, in quanto, essendo allora solo ipovedente grave, avevo bisogno di essere accompagnata (…). Purtoppo, durante gli anni, sono giunta a una cecità quasi totale, dovuta a una retinopatia con successiva maculopatia, e ho potuto constatare che non esistono solo barriere architettoniche ma anche mentali (...). Negli ultimi anni ho perso la visione del volto dei miei alunni, non ho perso, però, le loro voci dalle quali ho imparato a comprendere le loro emozioni, il carattere, le titubanze. Le mie paure di non essere all’altezza delle loro richieste didattiche mi hanno sempre portata a fare meglio e di più (…). Gli ultimi esami sono finiti con molti alunni che hanno raggiunto la media del 10 e lode, alcuni quella del 9, altri quella dell’8 e del 7. Spiccate il volo, mia ultima terza C, io non potrò seguirvi visivamente, ma ricorderò sempre le vostre voci, le vostre risate, che mi hanno permesso, giorno dopo giorno, di arrivare alla fine. Sono sicura di avervi insegnato che con la volontà si può superare qualsiasi ostacolo e raggiungere ogni obiettivo. La mia cattedra è libera ed è in attesa di un giovane insegnante che prenderà il mio posto, con tutto l’entusiasmo e la freschezza della sua età. Auguri mio giovane collega!» 

Lettera firmata

 

Quando è il cuore a parlare non servono tante spiegazioni. Da qui la scelta di dare ampio spazio a questa bellissima e intensa testimonianza (comunque limata per motivi di spazio). L’amore per il proprio lavoro non ha prezzo, ancor più se il mestiere in questione influisce direttamente sulle nuove generazioni e sul futuro di tutti. Sono sempre stato convinto che il buon insegnante sia colui che trasmette agli allievi non solo nozioni, ma soprattutto un metodo per imparare a organizzare il sapere e a ragionare. Leggendo le sue parole intrise di passione, cara lettrice, ho rafforzato questa certezza. Insegnare è amare e condividere; è non dover mai dire «sono arrivato». Un percorso di crescita continua e vicendevole tra il maestro e l’alunno. O come scrive lei, un «reciproco scambio» nel luogo di evoluzione per antonomasia.

Passano gli anni, la tecnologia avanza, ma la scuola in fondo mantiene lo stesso ruolo centrale nell’educazione dell’individuo. Parafrasando Pier Cesare Rivoltella, docente di Tecnologie dell’istruzione alla Cattolica di Milano, intervenuto di recente al convegno «A ritmo di touch. Tra tatto e contatto»: «Oggi dentro una società dell’informazione i compiti della scuola sono gli stessi di sempre: trasmissione culturale; sviluppo della cittadinanza; orientamento dei giovani». Ma per realizzarli servono individui capaci di coinvolgere. «L’interesse – ha scritto Alessandro D’Avenia su “La Stampa” – non è il frutto di effetti speciali più o meno tecnologici, ma la conseguenza del fatto che gli oggetti che presentiamo all’attenzione dei ragazzi hanno ragione di bene, di vero e di bello». La sincerità paga sempre. Grazie, dunque, cara lettrice, per aver condiviso un momento così importante. Non si abbandoni però alla nostalgia, ma forte di quanto costruito fin qui, guardi avanti. Al di là degli studenti, ci sono tante persone che hanno bisogno del suo aiuto e della sua trasparenza.

Data di aggiornamento: 01 Ottobre 2017
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