Libia. Con l’Italia nel cuore
Libia, Bengasi, capoluogo della Cirenaica. L’edificio che un tempo ospitava l’Università porta ancora marchiate a fuoco le ferite della guerra. Colpi di cannone che, tra il 2011 e il 2014, hanno distrutto case, monumenti, palazzi. È il periodo degli scontri tra le truppe di Khalifa Haftar e le milizie legate al fronte islamico. Dentro i muri trafitti c’era la sede del Dipartimento di Italianistica che, nonostante mille intoppi, ha cercato di sopravvivere, continuando la sua attività. Quattro le aule oggi ricavate, alla meno peggio, al secondo piano della Facoltà di Lingue, rimasta in piedi per miracolo.
Protagonisti di un’insolita storia «italiana», gli studenti e i docenti del Dipartimento. «Ci troviamo ad affrontare continui ostacoli: dalla mancanza di libri e dizionari fino alle borse di studio. Eppure non ci scoraggiamo – spiega Mohammad Saari, 33 anni, direttore del Dipartimento –. Ciò che ci spinge a non mollare è unicamente l’amore per l’Italia, per la sua lingua e la sua cultura». Un’italianità che non ti aspetti in una terra carica di conflitti, compresi quelli di un passato coloniale pesante. Bengasi, poi, non è una piazza facile dal punto di vista diplomatico: c’è solo una rappresentanza, quella del Sudan. L’ufficio italiano ha chiuso i battenti da tempo. Doveva riaprire lo scorso aprile, ma al momento è tutto saltato.
Eppure qui, anche senza un dizionario di arabo-italiano o una biblioteca, distrutta pure quella, si continua a studiare la nostra lingua. «Attualmente siamo otto docenti e circa cento studenti, dai 18 ai 27 anni. Per fortuna abbiamo gli spazi, ma ci mancano numerosi libri che finiamo per portarci da casa. Eppure c’è voglia di apprendere. I nostri ragazzi amano l’italiano, adorano la cultura e la letteratura italiane. Studiano non tanto per trovare un lavoro, ma semplicemente perché amano la musicalità della lingua, gli scrittori, la storia. Io ho studiato in Italia. Il mio autore preferito? Pirandello. Il Dipartimento venne fondato nel 2006 in stretto raccordo con l’Università di Palermo. Proprio come allora, noi docenti e studenti siamo convinti che la letteratura possa trasportarci in un mondo migliore».
Nel frattempo da Roma, nonostante le richieste inviate, mai nessun riscontro. «Quando racconto che insegno italiano, in tanti mi dicono che faccio male a propagandare la lingua dei nemici, quella degli alleati di Fayez Sarraj e della Tripolitania. Ma questo è il minore dei problemi. Abbiamo, invece, difficoltà ben più grandi. Siamo abbandonati a noi stessi, non abbiamo un interlocutore. Vorremmo solo essere degnati di una risposta per non far morire un’esperienza preziosa e una grande occasione per costruire ponti nel segno della cultura».