Londra inganna. Con la sua bellezza, con la sua efficienza, con il suo cosmopolitismo. A Brixton ho ascoltato musica caraibica in una pescheria gestita da afgani. Ho mangiato ramen giapponese a un passo dalla Tate Gallery. Il tassista verso l’aeroporto era un elegantissimo nigeriano. Ho ritrovato i miei pasteis portoghesi fra i cinesi di Soho. E l’impiegato delle poste era catanese (‘Ho mandato un curriculum e sono venuto a lavorare qua’) come la ragazza di Bari che mi ha preparato un’empanada argentina. Sono tre milioni e 700mila, gli europei che vivono in Gran Bretagna. 700mila sono italiani. Londra è la undicesima città italiana: qui abitano almeno trecentomila connazionali. E quasi tutti, oggi, oggi si interrogano: ‘Nessuno può prevedere quali saranno le conseguenze della Brexit’. In molti preferiscono fare finta di nulla. Continuano a lavorare in arditi progetti tecnologici, a servire birra ai tavoli dei pub, a correre pericolosamente in bicicletta per consegnare pizze o sushi per poche sterline, a fare gli avvocati o gli infermieri, a studiare a Oxford o al King’s College. Sperando che niente cambierà davvero. Ma, per gli inglesi, già agenzie offrono di fare le pratiche per ottenere visti e passaporti: ‘Ready for Brexit?’. Già si firmano contratti che prevedono clausole a difesa della imprevedibilità di leggi future. I controlli in dogana, a volte, si sono già fatti più severi. Che paese folle e straordinario, la Gran Bretagna: gli equilibri della famiglia reale (e fa scandalo la fuga di Harry e Meghan) convivono con gli azzardi politici di Boris Johnson e la meraviglia di una vita artistica stupefacente e coraggiosa. Mi chiedo in quale altra città europea avrebbero pensato a popolare di elefanti in bronzo, una ventina di cuccioli orfani, l’affollato crocevia fra Marble Arch, Oxford Street e Hyde Park. Londra ha coraggio, ma questa metropoli di più di otto milioni di abitanti inganna davvero: le regioni lontane dal suo universalismo multiculturale, il Nord del paese impoverito e spaventato, le zone delle industrie andate a rotoli e dei villaggi degli ex-minatori, le campagne, hanno votato contro l’Europa. Fra gli emigrati mal sopportati, questa volta, ci siamo noi, gli europei.
I piccoli elefanti di bronzo di Marble Arch se ne andranno alla fine del 2020. Ben prima di allora, alle 23 del 31 di gennaio (ma sarà mezzanotte appena oltre Manica), la Gran Bretagna è uscita dall’Unione Europea.