Dialogare tra ignoranza e pregiudizi
Viviamo in un'epoca in cui un po' tutti facciamo fatica a dialogare. Basta leggere i giornali o seguire i dibattiti televisivi per rendersi conto che le posizioni, tra i vari interlocutori in campo, spesso, si radicalizzano. Ecco che si fa fatica a tenere vive conversazioni pregne di contenuto, ma anche ad ascoltare le altre persone, a prestare attenzione a quello che viene comunicato.
La miglior difesa, nei salotti dell’etere, è l’attacco di chi la pensa diversamente, peraltro facendo scadere di significato ogni genere di confronto. Le banalizzazioni sono all’ordine del giorno ed esprimono un po’ dappertutto – sia verbalmente come sui social – una crassa ignorantia, infarcita di luoghi comuni e pressapochismi.
D’altronde, il tempo nel quale viviamo è segnato da profonde trasformazioni. Ed è il tempo la risorsa più importante che ci viene data in sorte quando nasciamo, dal nostro personale istante zero. Eppure oggi, nella cosiddetta società postmoderna, si ha la sensazione d’essere sopraffatti da un magma di parole, messaggi e informazioni all’insegna della negatività e del pessimismo.
Sta di fatto che molti avvertono una sorta di decadimento, non solo economico, ma anche politico, religioso e sociale. Un’alterazione che ci travolge e interferisce sfavorevolmente sulla sfera valoriale, generando ansia e insieme un bisogno di leggerezza che sembrano distrarci per un po’ da temi come divorzi, fallimenti, terrorismo, guerre, elezioni e pandemie. La voglia di capire davvero come stanno le cose convive con il desiderio di lasciar andare.
Per comprendere meglio l’origine di questa tendenza a non approfondire, possiamo aggiungere la paura di condividere quello che si sente o la vergogna quando quello che sentiamo viene percepito come qualcosa da nascondere.
Forse, mai come oggi, dovremmo davvero comprendere che il dialogo, come scrive il teologo nordamericano Leonard Swidler, «è una conversazione su un argomento comune tra due o più persone con opinioni differenti, il cui scopo principale è quello, per ogni partecipante, di imparare dall’altro/a così che lui/lei possa cambiare e crescere». Per dialogare, in questa prospettiva, è essenziale la condivisione.
Quest’ultima ha bisogno di una posizione emotiva, intellettuale, onesta, che consideri l’interlocutore come un soggetto e non un contenitore nel quale riversare i nostri saperi, ma qualcuno con cui creare la conversazione. E qui è fondamentale l’ascolto dell’ascolto, ossia è importante che chi parla – sia in una comunicazione reale che digitale – si renda conto se l’altro lo stia seguendo o meno. La circolarità della comunicazione produce significato e senso, passando per la soggettività di entrambi. Solo così sarà possibile innescare livelli di empatia per entrare in profondità.
Ammettiamolo: oggi patiamo una crescita esponenziale dell’ignoranza che impedisce a molti di contrastare i propri demoni, in primis, la superbia. L’arroganza e la saccenteria, ostentate da certi personaggi che riscuotono successo, è preoccupante. Fanno credere di sapere tutto, manipolando le coscienze per generare consenso. Il fatto che pensino sempre di avere ragione soffoca in principio ogni dibattito.
Dall’altra, però, ci sono le masse sprovvedute che si affermano più con gli istinti che con la ragione. Il risultato è che stiamo assistendo alla sporulazione di menti farneticanti che aboliscono i vaccini, credono che la Terra sia piatta e i migranti la peggiore maledizione.
Dimenticando quello che la Storia insegna e che cioè le epidemie di vaiolo e difterite hanno fatto stragi, che la spedizione di Magellano circumnavigò il mondo in due anni, 11 mesi e 17 giorni e l’Europa, a parte il mito dei greci e l’Impero romano, nacque davvero per opera dei barbari che erano stranieri.