Vuoi un caffè?
In questi mesi, i nostri vescovi hanno fatto giungere le loro Lettere pastorali nelle comunità cristiane. È vero che questo strumento è «di prassi» nelle nostre diocesi, ma probabilmente – per fortuna – sta sempre più cambiando rispetto a certi documenti del passato così autoreferenziali, scritti in stretto ecclesiastichese, teologicamente più che esatti ma praticamente incomprensibili o almeno ben lontani dalla vita concreta delle persone, da durare… un bel niente (e ancor meno essere letti, forse dagli stessi parroci?).
Incisiva, e ben scritta, è quella di Derio Olivero, vescovo di Pinerolo, simpaticamente intitolata Vuoi un caffè?, che per un documento ecclesiale è davvero un titolo originale. Ma tant’è: «Bere un caffè assieme» diventa il gesto simbolico del bisogno di nuove relazioni tra le persone anche credenti, ed evangelizzare le relazioni un obiettivo pastorale: «Ho scritto questa lettera perché credo che la cura delle relazioni sia un pilastro per un serio miglioramento della nostra società». Il percorso, tracciato anche da papa Francesco, è ormai segnato: «Ridire il cristianesimo nella quotidianità della vita».
La fede non può che passare per la nostra umanità e quotidianità, le nostre storie (anche quelle «non regolari»: il vescovo si rivolge scontatamente a «tua moglie, tuo marito», ma anche a «il tuo compagno, la tua compagna», e anche questo non è poco), senza sentirci sotto assedio, ma consapevoli di essere portatori di una novità per tutti: Gesù Cristo. Obiettivi e strategie meramente pastorali non mancano, ma tutto può passare anche solo da una riproduzione del quadro La Danza di Matisse appeso nel salotto di casa. O dal recupero di parole «chiave»: fraternità, dono, domenica, fiducia, gentilezza, confine, fragilità, processi... E, alla fine, offrendo o facendoci offrire un caffè.