Chi si ferma è perduto
Probabilmente frate Antonio, ma quando era ancora don Fernando, membro del venerabile ed erudito ordine dei canonici agostiniani, quando cioè non gli mancavano né il tempo né le possibilità per studiare la Parola di Dio, sviscerarla in lungo e in largo alla caccia dei suoi significati più reconditi, perché, come amavano asserire ancora i rabbini ebrei suoi contemporanei, questa Parola si divide in almeno settanta lingue e perciò significati; probabilmente, dicevamo, si sarà soffermato più a lungo del solito tra le righe della parabola del padre misericordioso, raccontata dall’evangelista Luca. Altrettanto probabilmente, avrà poi notato con somma meraviglia che in quel caso non si dice di per sé che il secondogenito scapestrato e dilapidatore «tornò indietro», magari pure abbacchiato e umiliato: non occorre rifare la strada all’indietro, occorre soltanto camminare ancora, andare avanti. Il padre non ci aspetta dietro, ci aspetta avanti, anche avanti ai nostri percorsi confusi e sbagliati!
Così il nostro Antonio, torniamo a lui reduce dal banale fallimento del progetto missionario e martiriale in Marocco, si imbarca per tornare, orecchie basse e coda tra le gambe, verso casa, in Portogallo. L’opzione era quella di riavvolgere il film, ripartire da capo, ricalcolare il percorso, resettare il computer craccato e riavviarlo senza virus. Sennonché è «difficile essere latitanti, quando si è ricercati da Dio» (Erri De Luca): un’improvvisa e per altro misteriosa tempesta dirottò l’imbarcazione verso tutt’altra meta, ignota e imprevista. «Non indietro, sempre avanti», e Antonio si sarà ritrovato sorridendo a ripensare alla parabola lucana. Letteralmente scaraventato altrove, spiaggiato in un paese ignoto, senza documenti né soldi in tasca, guardato almeno inizialmente come un «foresto», un potenziale pericolo per la quiete pubblica: come succedeva in tanti naufragi, allora come ora.
Antonio, il portoghese, arrivato da chissà dove, con chissà che «progetto migratorio» in testa, si scopre egli stesso «altro» per gli altri. Si sente lui questa volta «fuori luogo»: bisognoso di accoglienza, fraternità. Anche solo, per intanto, di un focolare a cui riscaldarsi e asciugare il saio zuppo d’acqua salata, e magari qualcuno che ti guarda negli occhi senza paura, con simpatia e curiosità. Le parole corrette sarebbero arrivate in seguito, ma per il momento sono sufficienti i gesti, questi sì un linguaggio internazionale che non abbisogna di troppe complicate traduzioni; sei a casa tua, tranquillo! Forse il risultato finale non cambia, ma cambia l’ordine degli addendi, si modifica e non di poco l’approccio, si ribalta il punto prospettico: se fino a prima pensavo che Dio passasse da quello che io faccio, brigo, organizzo, progetto, ora scopro che passa di più da quello che gli altri fanno per me! È resa totale, con l’unico onore della… fraternità.
La notizia dello sbarco di questo misterioso frate dai tratti somatici diversi ma nobili, che parla un «latinorum» da libro stampato e un dialetto incomprensibile persino a dei siciliani – già, perché proprio nientedimeno che in Sicilia è giunto il nostro –, fragile, silenzioso, come se celasse un segreto dentro di sé o qualche delusione da cui stava fuggendo, avrà ben celermente fatto il giro delle fontane e del mercato, giungendo fresca fresca alle orecchie dei frati minori che lì vivevano nel povero conventino. E frate Antonio avrà scoperto un’altra fraternità, donata gratuitamente, che precede qualsiasi successiva distinzione di grado, censo, simpatia o curriculum. Un altro tassello francescano andò al suo posto: «Il Signore mi donò dei fratelli» (san Francesco, Testamento)…
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!