Ripartenze antoniane
Allora, dove eravamo rimasti? All’ennesimo tentativo di imprimere alla propria vita una direzione sufficientemente certa, spirituale e proprio per questo anche molto concreta, esistenziale (si è trattato di volta in volta di cambiare d’abito, traslocare da un’abbazia all’altra, espatriare, imparare nuove lingue, rischiare vita e vocazione a ogni apparente fallimento), il nostro sant’Antonio si ritrova alfine con un pugno di mosche in mano. L’abbiamo lasciato fradicio e sconsolato sulle coste della Sicilia, suo malgrado perché era piuttosto a tornarsene a casa, in Portogallo, che lui ambiva.
Questa volta, lo sottolineavamo un paio di «Messaggeri» fa, non è ancora frate Antonio a compiere gesti di accoglienza, ma piuttosto prima di tutto a sperimentare anch’egli sulla propria pelle che cosa significhi ritrovarsi in una terra straniera, sconosciuto tra sconosciuti, in balìa letteralmente dell’accoglienza altrui: aver lui stesso bisogno degli altri! Già, se è vero quel che dice la Lettera agli Ebrei sull’ospitalità – «alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Eb 13,2) –, possiamo insinuare che i siciliani, senza saperlo, beh, hanno accolto… sant’Antonio.
E mai esperienza deve esser stata più fondamentale e incisiva per Antonio, «formativa» nel senso di dare una certa forma alla sua vita, giacché mai nessuno dei tanti che si accostarono a lui si sentì rifiutato o non accolto. E furono davvero molti, per i più svariati motivi, di qualsiasi età, stato di vita e origine sociale! Gente altolocata e «studiata», inavvicinabile per noi poveri mortali: papi, come Gregorio IX che lo conobbe personalmente e lo definì «Arca del Testamento» (nel senso della Sacra Scrittura), vescovi, signorotti locali come Tiso da Camposampiero o ben più ambiziosi come Ezzelino da Romano, teologi di grido. Ma soprattutto gente semplice del popolo, donne, bambini, anziani.
Antonio c’era per tutti e per ognuno, per chi avesse grandi storie da portargli o solo minuzie quotidiane! L’accoglienza (donata agli altri con generosità e, vogliamo credere, altrettanto chiesta e ben volentieri ricevuta: del resto, non faceva così anche Gesù?) divenne per lui un autentico stile di vita, che molto diceva del Dio a cui andava sempre più affidandosi e fidandosi. Molto più, intendo, di tanti discorsi o proclami, di tante parole. Ciò poteva avvenire in modo particolare in quel «luogo divino di accoglienza» che è il sacramento della confessione. Persino se i penitenti fossero autentici… briganti. Anzi, «dodici ladroni», neanche uno solo, che lo avevano ascoltato in incognito mentre predicava e poi, colpiti e affondati dalle sue parole, si erano devotamente confessati da lui! Anche se, raccontano le antiche biografie, solo uno non ricadde nella sua vita precedente.
Così riprendiamo con frate Antonio il nostro percorso nelle pagine di catechesi della rivista, pensate in modo particolare per i giovani. Anche per quest’anno cammineremo assieme a lui, dalla Sicilia, la prima tappa di questo mese, alla Calabria, Basilicata, Campania, su su fino ad Assisi, all’incontro con san Francesco, avvenuto esattamente 800 anni fa, e più su, negli eremi di Toscana, a Montepaolo, in Emilia Romagna, e ancora Gemona, Padova. Altri fratelli e sorelle pellegrineranno persino fisicamente lungo questi sentieri, mese dopo mese, e ci saranno incontri e proposte varie. Noi cercheremo di raccontare le realtà giovanili più belle e significative, di fede e di azione, che risalendo lo Stivale andremo incontrando. Perché chi parte per la prima volta, poi non può che continuare a ripartire. Come insegna Gesù all’incredulo Nicodemo: per vivere davvero bisogna sempre e di nuovo rinascere (Gv 3,1-21).
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