In regola da 797 anni!
I sistemi sociali, quale potrebbe essere una fabbrica di bulloni piuttosto che una comunità parrocchiale, ma anche una famiglia, per non parlare di un ordine religioso, per funzionare hanno bisogno di regole: intelligenti, necessarie, negoziate, condivise, comprensibili, che garantiscano diritti ma pure doveri. Ma, da un certo punto in poi, persino imposte. Non si tratta di limitare la libertà di nessuno (semmai l’egoismo che ci caratterizza, quell’«io» che fatica a esprimersi nel «noi»), ma di far funzionare al meglio il sistema stesso. In modo particolare per raggiungere il «bene» che persegue.
Se vogliamo vederla da un altro punto di vista, pensiamo ai nostri bravi adolescenti. Che con le regole sembrano avercela a morte anche quando dormono. Come se loro ritenessero di vivere senza, pur adeguandosi obbedientemente a quella di vestirsi alla moda, essere sistematicamente contrari agli adulti, ascoltare rigorosamente solo un certo tipo di musica. Infatti, se non fai questo, sei «fuori»: dal gruppo, dalla considerazione degli altri. Ma, soprattutto, come se compito dell’adolescente non fosse esattamente quello di mettere in discussione le regole… solo per confermarle (e accidenti a quegli adulti che li costringono ad alzare sempre più il tiro delle trasgressioni, in nome di una presunta pedagogia rispettosa e che fa a meno dei limiti e dei no!).
Anche noi frati francescani abbiamo la nostra bella Regola. L’ha scritta san Francesco e l’ha approvata papa Onorio III nel 1223. Per essa, o, meglio, per capirne le intenzioni più profonde, anche sant’Antonio di Padova fece parte del gruppetto di frati che si recarono a Roma, nel 1230, da papa Gregorio IX, per chiarimenti. Francesco era morto solo da poco meno di quattro anni… che c’era da chiarire?! Già, perché la Regola che il Poverello aveva lasciato tra le mani dei suoi frati era per certi versi un assurdo giuridico. Capace di obbligare a ben poco, e ancora meno di fornire tutte le informazioni necessarie a capire esattamente che scelte e che stile di vita dovrebbe caratterizzare un francescano: se già è difficile ricavarne a che gioco esso giochi, ma poi quali sono le sue regole di ingaggio? Poco più che un foglietto volante, dodici striminziti capitoletti, rispetto alla ben più corposa Regola benedettina (settantatré capitoli più il prologo). Vaghe e ambigue indicazioni (i frati abbiano un saio o anche più chi lo desideri… vadano per il mondo a piedi, ma se ne hanno bisogno cavalchino pure… mangino di tutto quello che verrà loro offerto…), a fronte di san Benedetto che entra minuziosamente nei dettagli, normando orari estivi e invernali, turni di pulizia in cucina e in refettorio.
Una Regola, quella francescana, che sembra fatta apposta per creare confusione nonché problemi di interpretazione. Perché se ci piacerebbe spontaneamente di più quella di Benedetto – ci facilita la vita, perché sappiamo sempre cosa dobbiamo fare –, quella di Francesco ci restituisce tutta la nostra responsabilità e libertà. «La Regola e la vita dei Frati Minori è osservare il santo Vangelo»: è il punto fermo, il riferimento non negoziabile. Poi, come questo Vangelo debba essere incarnato di volta in volta, di situazione in situazione, di luogo in luogo e di tempo in tempo, è impegno inderogabile e entusiasmante di ognuno di noi. «Io ho fatto la mia parte; la vostra, Cristo ve la insegni»: è il rispettosissimo (di noi e dello Spirito Santo) lascito che Francesco ci affida. A rischio di un po’ di sano anarchismo evangelico.
P.S. Semmai papa Francesco ci ricorda, con questa sua ultima enciclica, che il segreto è essere «fratelli tutti»…