Nascoste agli occhi dello sconosciuto
Con l’eleganza e la dolcezza che contraddistingue il gentil sesso – dal Maghreb al Medio Oriente, ma anche più a est – quasi cento milioni di donne nel mondo, figure prive di un’identità apparente, si muovono nella vita di tutti i giorni in una società che per tradizione e religione le vuole così: nascoste agli occhi dello sconosciuto.
Nonostante l’uso del velo islamico venga spesso considerato una modalità in cui esprimere il rispetto per la religione e l’ubbidienza alle regole, in realtà il Corano non ne impone l’obbligo per le donne musulmane.
Ai tempi del Profeta Maometto, portare il velo per una donna era solo una distinzione di classe. Infatti, solo le sue donne lo indossavano, le signore del popolo giravano a volto scoperto. Quindi, è una libera scelta quella di portare il velo o di mostrarsi al mondo.
Tuttavia non è sempre così. I condizionamenti e le imposizioni di familiari, o di gruppi islamisti, cambiano da luogo a luogo, da regime a regime.
Dalla ormai tolleranza delle grandi città del Nordafrica occidentale alle regole più ferree ed estremiste imposte dagli ayatollah durante il periodo di Khomeyni in Iran, al fondamentalismo estremo dei talebani dell’Afghanistan, la donna musulmana vive situazioni variegate, ma quasi sempre senza la libertà di una scelta personale.
Molte donne, anche se è ormai consolidato il fatto che il velo non riveste un significato religioso, continuano a coprirsi la testa.
È diventata un’abitudine acquisita nel tempo, fa parte del quotidiano, il velo è diventato parte di loro, radicato nel profondo dell’esistenza.
Molte di loro non uscirebbero mai di casa senza indossarlo, si sentirebbero a disagio, in qualche modo spaesate e irriconoscibili a se stesse.
Niqab, chador, hijab, burqa
Sono questi i «veli» più conosciuti per coprire le parti femminili del corpo che per gli uomini rappresentano in genere le più svariate forme di seduzione.
I più integralisti percepiscono, anche in una piccola parte di pelle scoperta, un pericolo per l’integrità della tradizione. È una forma di oppressione nei confronti della donna, basata sul controllo della proprietà dell’individuo.
L’onore del maschio ha bisogno di garanzie, se questa moralità viene a mancare, la donna ne deve rispondere personalmente, in alcuni Paesi pagando addirittura col caro prezzo della vita.
L’hijab è tra i foulard più comuni utilizzati dalle donne musulmane per coprirsi. È la copertura minima imposta dalla legge sacra della shari’a per nascondere i capelli, il collo, le orecchie e parte della fronte.
Tra i fondamenti del diritto islamico, alla donna è anche imposto di celare le forme del corpo indossando abiti lunghi di fattura non aderente.
Il niqab, indossato dalle donne saudite e yemenite, è un copricapo indiscutibilmente casto e rigoroso. Composto da più veli avvolti tra loro, una volta indossato lascia intravedere solo gli occhi. In questo caso la donna diventa irriconoscibile agli occhi di chiunque, assume le sembianze di un fantasma senza identità.
Le donne iraniane, a seguito della rivoluzione islamica del 1979, hanno ancora oggi l’obbligo di indossare il chador.
Questo indumento, simile a un’ampia mantella, ricopre il capo e le spalle lasciando scoperto solo il viso. Nonostante le regole imposte dall’ayatollah Khomeyni imponessero il colore nero per tutti i chador, negli ultimi tempi, soprattutto tra le giovani donne, i colori dei tessuti hanno assunto toni più vivaci.
In Afghanistan, durante la guerra civile venne instaurato il regime islamico teocratico dei talebani. Il divieto alle donne di mostrare alcuna parte del loro corpo indossando il burqa durò per quasi cinque anni.
Il burqa afghano, solitamente di colore blu o nero, copre sia la testa che il corpo. Nella parte superiore, all’altezza degli occhi, è posta una retina che permette alla donna di vedere, senza mai però essere scrutata dagli occhi indiscreti di sconosciuti.
La situazione in Italia
Nonostante si sia sviluppata una certa tolleranza verso il mondo islamico al femminile, tuttora, soprattutto in Italia, continuano a verificarsi casi di discriminazione nei confronti delle donne che portano il velo.
L’articolo 5 della legge n° 152/1975 del nostro ordinamento consente alle donne musulmane di indossare il velo per motivi culturali e religiosi.
Tuttavia, la Giunta regionale lombarda, per esempio, modificando il decreto con una nuova norma di legge, impedisce l’accesso nelle strutture regionali e negli ospedali alle donne musulmane che indossano abiti come il burqa o semplicemente col volto parzialmente coperto dal chador.
Nonostante quotidianamente arrivino aberranti notizie di accanimenti nei confronti di donne migranti, nessuno vuole essere additato come razzista. Ma razzismo non è solo considerare il velo uno scoglio all’identità di una persona, bensì anche semplicemente considerarlo una diversità.
Ed è proprio in questo sottile contesto che nascono atteggiamenti di discriminazione intollerabili.
Se gli occhi, come sostengono in molti, sono lo specchio dell’anima, attraverso la sottile fessura del niqab ci viene offerta un’opportunità. Quella di imparare a leggerli.
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