Pallone tricolore
Hockey, basket, football e baseball: sono questi gli «sport nazionali» in Nord America. Sport che storicamente attingono dai college e dalle università per plasmare i campioni del futuro. Un modus operandi che ora anche il calcio ha fatto suo, con le società professionistiche che, a inizio stagione, possono ingaggiare giocatori in erba dai tornei scolastici (SuperDraft). Dopo il fallimento della NASL (North American Soccer League) – che, tra il 1968 e il 1984, puntò sulla fama di grandi campioni sul viale del tramonto, come Pelé, Chinaglia, Bettega, Beckenbauer e Cruijff – è nel 1996 che la MLS (Major League Soccer), sull’onda dei Mondiali americani, è ripartita da basi più solide per il definitivo salto di qualità.
che inizialmente ha riproposto lo stesso canovaccio, invitando campioni del vecchio continente come Beckham, Kakà, Drogba, Nesta e Pirlo. Ma è anche vero che, oggi, può contare su giocatori nel pieno della maturità, su giovani promesse e in settori giovanili in vertiginosa crescita. Rispecchiando, così, un fenomeno sociale diffuso, visto che anche in Nord America il soccer è lo sport più praticato dai bambini. Che adesso possono sperare in un futuro da professionisti, grazie alle Academy e alle scuole di calcio. Come sta facendo l’Impact di Montréal, società dell’italocanadese Joey Saputo.
In vista dei Mondiali del 2026, che si disputeranno in Usa, Canada e Messico, si punta sempre di più sui talenti di casa. Una tendenza che non può che inorgoglire le centinaia di migliaia di italiani immigrati che non hanno mai rinunciato alla propria passione calcistica, parte integrante della loro storia e della loro cultura. Una passione che hanno continuato ad alimentare appena sbarcati, soprattutto dagli anni Cinquanta in poi, partecipando a tornei regionali e nazionali. Quando a Montréal, per esempio, il calcio era praticato dagli immigrati italiani, portoghesi, greci, ucraini, tedeschi, spagnoli che, a livello amatoriale, hanno dato vita a squadre come Superga, Kalena, St-Simon, Greek Stars, Ukrainia, Spania e MonItalia.
O quando, a livello professionistico, tra il 1961 e il 1966, squadre come la Toronto Italia e la Montréal Cantalia hanno preso parte alla Eastern Canada Professional Soccer League (ECPSL). «Erano ragazzi di 15-16 anni che già seguivano le partite del campionato italiano al bar, ascoltando programmi come Tutto il calcio minuto per minuto, grazie alle radioline a onde corte – ci racconta Paolo Canciani, giornalista sportivo di Toronto, friulano d’origine, in Canada dal 1962 –. Fino a quando, negli anni Settanta, un imprenditore di Hamilton, Emilio Mascia, riuscì a ottenere dalla Rai l’autorizzazione a trasmettere di domenica il secondo tempo di una partita di Serie A sul canale CHCH. Oggi, in qualunque squadra di 20 giocatori nei college e nelle università, almeno 10 sono di origine italiana, figli e nipoti di chi giocava negli anni ’50 e ’60».
«Da piccolo andavo a vedere la Cantalia allo stadio del Parco Jarry – ricorda Nino Di Stefano, direttore della radio italiana di Montréal (CFMB) negli anni Novanta, abruzzese d’origine, in Canada dal 1959 –. Poi ci fu l’epoca del Montréal Manic, iscritta alla North American Soccer League (NASL), insieme ai Cosmos di New York: una bella squadra allenata da Eddie Firmani, che nei primi anni Ottanta portò 60 mila tifosi allo stadio Olimpico contro il Chicago. Poi, con i Saputo, è stata la volta del Montreal Supra e, infine, del Montreal Impact. Con l’MLS è stato fatto un salto di qualità: c’è gente che sa giocare a calcio, ma bisogna investire di più sui nostri giovani, puntando più sugli allenatori che sui campioni. Loro saprebbero come valorizzare i giovani, facendoli diventare dei campioni».
La Beneamata
L’Inter Club «Peppino Prisco» di Toronto è tra i più noti e attivi in Nord America. Negli anni ha ospitato campioni come il compianto Mario Corso, Tarcisio Burgnich e Angelo Domenghini. «Sono diventato nerazzurro per la grande Inter di Skoglund e Veleno degli anni Cinquanta – ammette l’addetto stampa Alberto Milan, originario di Conegliano Veneto (Treviso), ma in Canada dal lontano 1973 –. Siamo una costola del Milan: c’è stato un diverbio nel 1908, e un terzo del comitato del Milan si separò perché in disaccordo sul licenziamento dei giocatori stranieri. Ecco il nome Internazionale. Già nel 1970, quando ero ancora in Italia, ero vicepresidente di un Inter Club, e avevo ottimi rapporti con Facchetti, Boninsegna e Mazzola. Il nostro club, con sede a Woodbridge, è nato nel 2003 e conta oltre 200 membri. Ogni anno organizziamo un picnic devolvendo fondi agli studenti più meritevoli, o ai bambini meno fortunati, oltre al gala annuale alla cena di Natale a base di porchetta. Nel 2010, abbiamo visto giocare l’Inter del Triplete contro il Panathinaikos al Rogers Centre».
Negli anni, il club ha organizzato diverse trasferte in Italia, oltre ad aver assistito a tante amichevoli negli Stati Uniti. «Gran parte di noi tifa diversamente dagli italiani in Italia: se la Juve, la nostra avversaria storica, gioca in Europa contro una squadra tedesca, io tifo per la Juve perché sono prima di tutto italiano. Sono contrario ai tifosi che creano disordini. All’estero ci sono meno facinorosi. In generale, vediamo sempre le partite in sede, su un maxi-schermo, indossando magliette, sciarpe e cappelli da far invidia ai tifosi in Italia. Il calcio è secondo solo a moglie e figli. Oggi la tecnologia ha annullato le distanze. E anche se manca l’euforia dello stadio, viviamo la nostra passione con lo stesso entusiasmo: silenzio di tomba dopo un gol subìto, e urlo liberatorio quando segniamo noi. È il calcio!».
Fede giallorossa
Il Roma Club di Montréal è tra i più colorati e giovani del Nord America. Fondato e diretto dal 2003 da Joe Recine (nato a Montréal, ma originario di Frosinone), è ufficialmente riconosciuto dall’Unione Tifosi Romanisti. Non ha una sede fissa: «Siamo itineranti – dice Recine – così possiamo accogliere più tifosi». Un must del club, formato da oltre 125 membri, con un’età media sotto i 30 anni, è il party di Natale a base di abbacchio. «Il ricordo più bello risale al 2016, quando la Roma è venuta a Montréal per giocare un’amichevole contro l’Impact di Joey Saputo. Siamo stati invitati all’allenamento e abbiamo visto Francesco Totti da vicino. Trovo che i tifosi oltreoceano siano più informati. Per essere un romanista all’estero, devi essere particolarmente motivato. Tra di noi ci sono seconde e terze generazioni che sanno tutto della Roma, senza essere mai stati a Roma. Il giorno della partita siamo sempre almeno una ventina al bar e indossiamo magliette, cappelli e sciarpe. Spesso ospitiamo turisti dall’Italia tifosi della Magica, che restano sorpresi perché parliamo italiano. Tifare per una squadra italiana ci tiene ancora più legati all’Italia. L’avvento della tecnologia è positivo perché ha attirato sempre più giovani. Abbiamo il calcio nel cuore: quando vinciamo i Mondiali, la Piccola Italia diventa il centro del mondo. Siamo noi i veri tifosi di calcio in Nord America».
La Vecchia Signora
I Bianconeri YYZ sono un giovanissimo Club Juventus di Toronto. «YYZ è il codice dell’aeroporto di Toronto: lo abbiamo scelto per essere all’avanguardia», rivela il coordinatore Rocco Fasano di Mississauga, ma originario di Triggiano (Bari), in Canada dal 1993. «Esistiamo dall’ottobre 2019, e la nostra sede è sui social: siamo 140 sulla pagina di Facebook, 284 su Twitter e 130 su Instagram. Per le partite, però, ci incontriamo di persona in qualche bar al centro di Toronto, vestiti di bianconero dalla testa ai piedi. E ogni volta si incontrano persone nuove, anche di passaggio, da altre parti del mondo. Vogliamo impegnarci sempre di più anche nel sociale, con attività di beneficenza, magari con un bel barbecue estivo.
Tifare Juventus dal Canada ti permette anche di vedere il calcio italiano nella sua globalità, come movimento, accrescendo l’orgoglio di essere italiani. Anche perché siamo circondati da tifosi di altre nazionalità che tifano per squadre di altri campionati. Se sta giocando il Napoli contro il Liverpool e l’amico inglese critica il calcio italiano, difendi il calcio italiano perché sei prima di tutto italiano». Orgoglio che poi, naturalmente, si traduce nel tifo per la squadra del cuore. «Prima di arrivare in Canada, i miei amici mi dicevano che avrei dovuto imparare a giocare a football. Oggi, grazie alla tecnologia, possiamo vedere tutte le partite, in diretta o in differita, a qualsiasi ora. Il calcio è più accessibile, soprattutto per i tifosi di squadre di media e bassa classifica».
Napoli è ’nu piezz ’e core
Il Club Napoli di Montréal è uno dei più attivi in tutto il Canada. È stato fondato nel 2010 da un ristretto gruppo di soci, in onore del signor Mario Cavallaro, tifosissimo della squadra azzurra e papà dell’attuale presidente, Giulio Cavallaro. Grazie alla sua passione, Giulio è riuscito ad avvicinare sempre più tifosi alla squadra partenopea. «Anno dopo anno, siamo cresciuti fino ad arrivare ai 300 membri di oggi, con circa mille simpatizzanti», ci informa Cavallaro.
Alcuni momenti sono rimasti nella storia del club, come ad esempio le feste annuali e le trasferte a Miami e Detroit, dove la carovana montrealese, al seguito del Napoli, ha raggiunto le 50 unità. I membri del gruppo, originari di tutte le province campane e di altre regioni, si sono via via adeguati ai progressi della tecnologia. «Da bambini ascoltavamo i risultati alla radio, poi sono arrivate la tv satellitare e internet». Il club non salta nemmeno una partita, e vive il tifo con entusiasmo e orgoglio che trapelano dalle foto pubblicate sulle pagine dei propri social network. «Ci riuniamo presso diversi ristoranti e bar italiani che, quando gioca il Napoli, si colorano dell’azzurro delle nostre sciarpe, dei cappellini e delle bandiere».
Diavolo di un rossonero!
Il Milan Club di Montréal è presieduto dal 2016 da Marcello Furgiuele (nato a Montréal, ma di origini calabresi) e conta circa 110 soci. Non ha una sede ufficiale, ma il Bar Ciociaro nell’italiana Saint Léonard è il punto di riferimento per le partite. «Mi sono innamorato del Milan durante i Mondiali del 1982 vinti dall’Italia – rammenta Furgiuele –. Le magie di Paolo Rossi mi hanno fatto sognare, ma il mio idolo è sempre stato Paolo Maldini. Dopo le due Coppe dei campioni vinte nel 1989 e nel 1990, mi sono attaccato definitivamente alla maglia di Maldini. Ogni anno, come club, organizziamo una raccolta fondi per aiutare i bambini meno abbienti, organizziamo la festa di Natale e il tradizionale barbecue prima dell’inizio della stagione.
Nel 2016 abbiamo abbracciato Pirlo e Kakà a Montréal, quando giocavano nella MLS. È stata un’emozione incredibile. Non sono mai andato a vedere il Milan a San Siro, ma nel 2003 ho assistito alla finale di Supercoppa Italiana al Giants Stadium di New York con la Juve. Insieme a Radio Rossonera, la prima web radio del Milan, curiamo un podcast in inglese rivolto ai tifosi rossoneri nel mondo. In occasione di gare importanti, soprattutto nel fine settimana, siamo in tanti a riunirci. Per me il Milan è una grande passione: per il calcio e per le mie origini italiane. Da giovanissimo andavo al bar la domenica con gli amici, prima della Messa. Oggi sto comodamente a casa e guardo la partita sul laptop, sul tablet o sullo smartphone».
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