Nel mondo di Lourdes
Lourdes è un mondo «mai visto», che convoca tutti: chi offre cura e chi la riceve, chi prega e chi assiste, il devoto e il curioso, il credente e lo scettico, il malato e il sano. Nelle splendide inquadrature panoramiche di questa pellicola francese, Lourdes è rappresentata come una città laterale, cresciuta in modo misterioso sotto un castello antico e tra montagne incantate. È una società sperimentale che dedica finalmente la dovuta attenzione alla malattia e al malato, a ciascun malato, rompendo i tabù e le censure sulla morte e la disabilità, quelle rimozioni che l’euforica civiltà dei consumi e dell’efficienza hanno decretato.
Eloquenti le prime due sequenze del documentario Lourdes (Francia 2019) di Thierry Demaizère e Alban Teurlai. Mani diverse carezzano la roccia dell’apparizione mariana. Vediamo dita di donne, palme rugose, polsi tesi. Quelle mani cercano un contatto fisico con una sorgente di speranza, per evitare che il dolore le affoghi e per non cadere nelle lusinghe dell’illusione. Prendono coscienza di sé in modo tattile, strisciando i polpastrelli lungo una superficie concava, umida, scura, fresca, resistente. Nella seconda sequenza cade una pioggia insistente sui pellegrini, sulle pavimentazioni stradali, sulle costruzioni, sulla terra di Francia. Il cielo dà un segno, pulendo via polvere e fango. Sono due immagini di un’alleanza nuova, che scaturisce tra uomini e cosmo, tra esseri viventi e materiali inorganici, tra terra, aria, acqua e corpi.
In cerca di…
Nel film cambiano le voci narranti e le prospettive visive. Davanti a patologie gravi si accendono vissuti di tristezza, ricordi penosi, fremiti di paura. In questi turbamenti affettivi, il sorriso di un bambino, il canto di un’infermiera, la recita del rosario spezzano il mutismo. Le litanie mariane mettono in dialogo i pellegrini col volto materno del mondo e di Dio. Il desiderio di salute e salvezza prende la forma di un’invocazione.
Non c’è solo domanda di aiuto nella fenomenologia delle preghiere che la pellicola ricostruisce. C’è espressione d’angoscia (perché proprio a me?), indagine sulla colpa (che cosa ho fatto di male?), rendimento di grazie (grazie, che il nostro malato sia ancora con noi e possa essere venuto anche quest’anno), salmi spontanei di blues e di malinconia, frenesia eccitata per un dono imminente (domani è il tuo giorno, domani sarai alla grotta!), ricerca di un senso sotto lo scacco della contraddizione: che cosa significa questa esperienza per me? Che cosa mi sta chiedendo Dio? Quale trasformazione etica s’impone alla mia fragile vita? La preghiera di liberazione dal male viene espressa in un linguaggio ogni volta originale.
I gesti dei familiari e dei volontari sono di una tenerezza elementare: lavare, spingere, vestire, pulire, sollevare, pettinare, imboccare. L’accudimento dei bisognosi assume una rilevanza universale, come se la natura stessa si piegasse e venisse in soccorso degli svantaggiati. Le pratiche d’assistenza acquistano così una dimensione religiosa, in continuità col ritmo tranquillo, affidabile e condiviso dei riti, delle liturgie, delle preghiere, delle celebrazioni all’altare.
Che cos’è un miracolo? E non è già un miracolo che ogni anno 3 milioni di pellegrini si rechino a Lourdes? I vangeli sono espliciti: per apprezzare il vero significato dei miracoli compiuti da Gesù occorre dar credito alla qualità religiosa della sua azione e lasciarsi coinvolgere dalla sua parola e dal rapporto con lui; bisogna leggere i gesti di guarigione non come esibizioni di potenza né come irruzione di forze magiche, ma come segni che annunciano la risurrezione del Figlio e la sua definitiva e vittoriosa lotta contro la malattia, la paura, la morte. Nel documentario, i malati pensano alla possibilità del miracolo e vi sperano, ma non si limitano a una richiesta materiale e a una devozione interessata. Chiedono nel contempo aiuto, perché il loro desiderio sia trasformato in una matura scelta di fede, domandano forza spirituale per superare la prova, si fanno solidali con gli altri visitatori.
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