Ricordando nonna Emma, «globetrotter dei santuari»
Se ne è andata qualche giorno fa Emma Morosini. Aveva 96 anni la pellegrina più anziana d'Italia che, negli ultimi 25 anni di vita, aveva percorso circa 35 mila chilometri, ogni volta in direzione di un santuario mariano. Per ricordarla riproponiamo l'articolo di Antonio Gregolin dedicato alla «globetrotter dei santuari» e pubblicato sul «Messaggero di sant'Antonio» di maggio 2016.
La globetrotter dei santuari
Cominciò a camminare per sciogliere un voto. Ora, a 92 anni e dopo ventitré pellegrinaggi nei luoghi mariani di tutto il mondo, Emma Morosini continua i suoi «viaggi della fede», esponendosi a molti rischi, ma calamitando ovunque l’interesse della gente e dei media.
Novantadue anni in completa autonomia. Cinquanta chili di peso. Trentacinquemila chilometri percorsi a piedi. Ventitré pellegrinaggi internazionali: Lourdes (Francia) dove ha iniziato e dove vorrebbe terminare, poi Fatima (Portogallo), Monterey (Messico), Loreto, Czestochowa (Polonia), Nevers (Francia), Nostra Signora di Aparecida (Brasile), più di recente Luján (Argentina). Innumerevoli le mete ancora da raggiungere. Una quindicina i libri-diario scritti durante i suoi viaggi. Stiamo parlando di Emma Morosini, classe 1924, la più anziana pellegrina d’Italia, se non del mondo intero. Un’infanzia in estrema povertà, la sua: mangiava patate e pane impastato con paglia e farina. Un trascorso di «dama di compagnia» presso nobili famiglie mantovane, fino a diventare, negli ultimi decenni, assistente di persone ammalate.
La donna vive in una minuscola casetta che pare fatta su misura per lei, nella quale custodisce solo cose essenziali, in linea con il suo carattere. Quando la incontriamo, è intenta a ricamare cuscini con fili colorati, alla vecchia maniera. Difficile immaginare che sia una «donna da primato»: una abuela del camino, cioè una «nonna del cammino», come gli argentini l’hanno ribattezzata. «Preferisco essere il burro de Dios, cioè “l’asinello di Dio”, in spa- gnolo, perché in questo umile animale, spesso destinato a lavori di fatica, mi rivedo!», ribatte lei. In effetti Emma Morosini di fatica in nome di Dio ne ha fatta tanta. E ha cominciato in età avanzata: dopo i 60 anni, quando i più respirano di solito il profumo della pensione, Emma ha invece avuto un’esplosione di vitalità, che l’ha condotta a trasformarsi in «pellegrina per gratitudine».
Ma chi glielo fa fare?
Siamo sulle colline mantovane che si spingono fino al Lago di Garda, in quel Castiglione delle Stiviere che diede i natali a Luigi Gonzaga, divenuto poi, giovanissimo, santo. E sempre qui, sui campi di battaglia di Solferino, nacque anche, due secoli fa, la Croce Rossa. Da trent’anni a questa parte, quando Emma non è a casa tutti pensano che sia in cammino. Non sanno bene verso dove, non sanno per quanto tempo, ma le imposte chiuse della sua casa vengono da tutti interpretate come pagine bianche di una nuova impresa scritta coi piedi (e sotto il peso degli anni!). «Tornerà, tornerà» ripete il vicino. «Ce la farà pure stavolta!» esclama chi conosce la tempra di Emma.
«Negli ultimi anni – racconta la donna – compro il biglietto aereo di sola andata per arrivare nella nazione dove vado a camminare. Alla mia età puoi solo pensare a partire: il ritorno è affidato unicamente alla Provvidenza. Che per ora mi ha sempre permesso di rientrare a casa». Ma un «angelo in terra» Emma ce l’ha: è Antonio, l’amico volontario che da qualche anno, da casa, la segue e le organizza la logistica (percorsi e voli compresi). Per il resto, Emma ha solo un cellulare di prima generazione. Niente computer né navigatore satellitare. Niente sponsor né scarpe tecniche: «A un pellegrino è sufficiente la fede. Il resto arriva dal cielo! Le scarpe spesso me le regala qualche amico, sa come io di solito compri sempre quelle che costano meno».
Un viaggiare essenziale il suo, ma con una «licenza»: «Non posso più permettermi di portare lo zaino come ho fatto fino a 80 anni. Per questo ho trasformato un carrellino della spesa in una “portantina” sulla quale carico una valigia che pesa fino a 10 chilogrammi, trainandola a mo’ di somarella. Tra quanto mi porto, però, ciò che pesa di più è l’acqua, indispensabile al cammino». Così, vedendo lungo il ciglio di una strada questa nonnina con carrello e giubbetto catarifrangente, dietro al quale incolla l’immagine della Madonna che va a incontrare, sorge spontanea la domanda: perché sottoporsi a queste prove sfibranti alla sua età?
«Semplice – risponde lei –, vado a incontrare la nostra Madre celeste. Non sono mai stata una sportiva, e prima dei 60 anni non ho mai compiuto alcun pellegrinaggio a piedi, men che meno l’avrei fatto da sola. Almeno fino al 1988, quando una brutta peritonite mi ha portato a un passo dalla morte. I medici erano pessimisti, io invece restavo fiduciosa: avevo promesso alla Madonna che se avessi superato l’operazione sarei andata da Castiglione fino a Lourdes a piedi». La prognosi appariva disperata. «Invece guarii, e nel ’90 andai due volte in bici a Lourdes, poi nel 1994 a piedi e da sola lungo tutti i 1.300 chilometri. Ricordo che all’epoca un prete, santo nello spirito, ma inesperto nei pellegrinaggi, mi rassicurò dicendomi: “Vai, e dove troverai un campanile, fermati, bussa e ti sarà aperto!”. Invece sono finita spesso a dormire sotto le stelle, e quasi mai nelle canoniche: sola e spossata dal cammino, venivo infatti confusa con una barbona o una specie di fattucchiera».
Una brutta esperienza
Sarà forse questa sua disarmante semplicità a rendere Emma pressoché immune dai pericoli della strada, fatta eccezione per la caduta accidentale in Argentina dello scorso anno quando, passato qualche giorno e nonostante il viso ammaccato, si riprese, e ostinatamente tirò dritto fino alla meta. «In trent’anni di cammini – ricorda – ho avuto paura una sola volta. Fu durante il viaggio dalla Siria a Gerusalemme, nel 1998. Dopo essere stata derubata, schernita e presa a sassate, ancora molto provata, fermai un carretto per farmi trasportare per qualche chilometro. I conducenti, però, pretesero che consegnassi loro i pochi spiccioli rimastimi. Altrimenti… Pensi: a una povera vecchia e scalcagnata come me! Il Signore, però, volle proteggermi, mostrandomi in lontananza un distributore di benzina. A quel punto dissi che lì c’era qualcuno ad attendermi! Nel dubbio, e per mia fortuna, mi lasciarono andare incolume».
Emma non trova differenze tra le strade del mondo e quelle dello spirito. La strada è unica, l’umanità è in cammino. «Ciò che fa la differenza – precisa – è “il sentirci nel mondo o del mondo”, co- me scrive il Vangelo. Credo di avere una naturale predisposizione verso gli altri. Frutto di quell’educazione alla solidarietà che ai miei tempi significava sopravvivenza». Per più di trent’anni Emma ha infatti assistito infermi e malati terminali, senza mai chiedere un compenso fisso, ricevendo solo offerte che spesso andavano oltre le sue necessità. Tra le sue certezze, vi è quella che la felicità sia amare. Ecco perché ripete di essersi innamorata del cammino. Una sorta di vocazione che lei stessa fatica a spiegarsi. «Qualcuno dirà che sono “pazza” ad andarmene tutta sola per il mondo, a 90 anni suonati. Un prete è arrivato a domandarmi: “Ma chi te lo fa fare? Non è mica il Padreterno a chiedertelo!”. E io: “Ma lei saprebbe rinunciare alla sua vocazione se glielo chiedessero?”. Un pellegrinaggio non è una vacanza. Molti dei pellegrini che incontro oggi per strada si mostrano fiacchi, e non sempre hanno lo spirito giusto».
L’incontro con il Papa
Si possono anche evitare le tentazioni della modernità, ma talvolta accade che siano esse stesse a venire incontro, al punto tale da trasformare un personaggio come Emma in un «caso nazionale». È accaduto, per esempio, nel 2015, in Argentina: qui, mentre percorreva i 1.400 chilometri che l’avrebbero portata al santuario della Vergine di Luján (dove è tornata anche in questi mesi, ndr), a Emma accadde la stessa cosa successa a Forrest Gump, il protagonista dell’omonimo film del 1994. «Dopo che televisioni e giornali argentini si erano interessati al mio cammino senza, però, che io avessi parlato con un solo giornalista, la gente prese a seguirmi. Ben presto la mia solitudine si trasformò in un corteo di migliaia di persone, un pellegrinaggio di popolo. Ci furono addirittura problemi di viabilità. C’era chi pensava che fossi una specie di santa. Venivano a toccarmi e a chiedermi i vestiti. Mi ponevano al collo decine e decine di rosari, al punto che non ce la facevo più, e dovetti chiedere l’intervento della polizia che mi offrì una scorta. Durante il cammino, si avvici- nò un tizio dicendomi di essere il nipote di papa Francesco. Lì per lì non capii bene. Il giorno seguente tornò insistendo che “Francesco voleva incontrarmi”. Lo ignorai ancora, pensando a uno scherzo.
Fu un vescovo poi a presentarmi ufficialmente quel giovane dicendo che, al mio rientro in Italia, il Papa mi avrebbe ricevuto. Diffusasi la notizia, la gente iniziò a darmi centinaia di lettere da consegnare al Pontefice». L’incontro con papa Francesco è av- venuto un anno fa, in piazza San Pietro. «Mi emoziono ancora ricordando le sue parole: “Vai avanti Emma, vai per la tua strada”, mi disse. In quella occasione gli consegnai un pacco di lettere raccolte nella mia peregrinación argentina. Vedendole, il Papa mi rispose: “È proprio il caso che io vada a trovarli, allora!”». Un’intenzione, quella di Francesco, che Emma ha voluto trasformare nel proprio testamento: «Io non mi fermerò mai. Camminerò per il mondo, finché il cielo me lo permetterà».
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