Aido, per ridare vita
«Donare è un grande gesto d’amore verso il prossimo. È l’ultima soluzione che può ridare la vita a chi non ha alternative di cura e di guarigione al trapianto. E il trapianto è un dono grande per tutta la società». Parole di Flavia Petrin, 57 anni, originaria della provincia di Venezia (nativa di Maerne di Martellago, residente a Mirano), laurea magistrale in Infermieristica e numerose esperienze professionali nel suo curriculum. Lo scorso ottobre è stata rieletta per altri quattro anni presidente nazionale di Aido, l’Associazione italiana per la donazione di organi, tessuti e cellule.
Msa. Presidente Petrin, lei è da sempre in Aido: come ha accolto questa riconferma?
Petrin. Sin da giovane ho portato avanti la missione di papà Odino. Era prossimo a fondare la sezione di Maerne quando, a soli 39 anni, morì per un incidente stradale dentro il petrolchimico di Marghera, dove lavorava. Ero una ragazzina e Aido un po’ alla volta è divenuta parte di me. Questa rielezione, avvenuta con una straordinaria espressione di fiducia nei miei confronti, è motivo di orgoglio e di responsabilità a fare ancora di più e meglio.
Che anno è stato, per la vostra associazione, il 2020 segnato dal covid?
Molto complesso, come per quasi tutte le realtà di volontariato. La pandemia ha lasciato profonde ferite. Aido ha retto bene. Tutte le strutture hanno svolto le assemblee elettive e ci siamo preparati a entrare nel Registro unico nazionale del Terzo Settore. Non sono passi banali o scontati, per quanto possano sembrarlo. È evidente che l’attività è stata molto condizionata dall’impossibilità d’incontrarsi, dovendo dirottare tutto o quasi sulle videoconferenze. Grazie ai volontari, abbiamo cercato di trasformare le difficoltà in opportunità: la Giornata nazionale, ad esempio, è andata molto bene sui social e sui media. Tuttavia si sente forte il bisogno di tornare a stare e a fare le cose insieme.
Quale impatto si è avuto sulle donazioni e i trapianti?
Nonostante l’emergenza sanitaria, l’attività in Italia ha tenuto: il calo generale rispetto al 2019 è stato di circa il 10 per cento. Durante la prima ondata della pandemia, l’anno scorso, la riduzione era stata del 40 per cento, elevata, ma inferiore ad altri Paesi: -91 per cento in Francia, -75 in Spagna, -51 negli Usa, per fare degli esempi. Questi risultati sono il frutto di uno sforzo organizzativo importante, considerando che le donazioni avvengono per lo più nelle terapie intensive, messe a durissima prova dal covid, ma dove c’è stata una riduzione del tasso di opposizione al prelievo che conferma la grande generosità degli italiani: 30,2 per cento nel 2020 rispetto al 31,1 del 2019. Giocoforza, comunque, molti sono i segni «meno» registrati in quest’annata infausta.
L’anno scorso ha segnato, però, anche importanti traguardi.
C’è stato il primo trapianto di polmoni su un paziente covid effettuato in Europa, in maggio a Milano. Diversamente, quel giovane non avrebbe potuto sopravvivere, mentre ora è tornato alla sua vita normale. Ci sono stati i primi otto trapianti in Europa da donatori positivi a pazienti positivi. E il primo trapianto italiano di utero, in agosto a Catania.
Che cosa bisogna fare per diventare donatori?
Bisogna esprimere la propria volontà a donare gli organi e tale manifestazione si può fare solo a partire dal raggiungimento della maggiore età. Ci sono quattro possibilità: iscriversi all’Aido; dare adesione nell’apposito registro della propria Ulss; esprimere il «sì» al momento del rinnovo della carta d’identità in Comune; lasciare uno scritto di proprio pugno. Così come per un testamento, la volontà può essere cambiata in qualsiasi momento. Aido si impegna a sensibilizzare la popolazione, perché la scelta sia consapevole. Ovviamente si può anche essere contrari, l’importante è che ognuno si ponga la questione per poter decidere.
Come procedono le dichiarazioni di volontà?
Al 31 dicembre dello scorso anno, erano 9 milioni quelle raccolte nel Sistema informativo trapianti: 82 per cento dai Comuni, 16 per cento da Aido e 2 per cento dalle Ulss, con una percentuale di scelta positiva del 74,3 per cento dei casi. Nel 2020 è anche aumentata l’opposizione alla donazione al rinnovo della carta d’identità: il 33,6 per cento dei cittadini contro il 32,5 per cento del 2019. A esprimere maggiormente il diniego in Comune sono stati gli over 60 anni, scelta di sicuro influenzata dal fatto che non si è a conoscenza che per rene e fegato non esistono limiti d’età alla donazione, ma si valuta la funzionalità degli organi. Discorso diverso, invece, per il cuore, per cui non si può andare sopra i 60 anni. Nell’aumento della percentuale dei rifiuti sul totale delle manifestazioni di volontà, incide la riduzione di quelle raccolte da Aido che, per circa i due-terzi, sono state dovute alla mancanza di contatto diretto con le persone.
C’è un limite per donare?
Nessuno. Molti sono i donatori ottantenni, ma anche novantenni e oltre. C’è una signora di 60 anni che vent’anni fa ha ricevuto un fegato da un 82enne, quindi quell’organo ha più di un secolo. Non dimentichiamo, poi, che si può donare anche da vivi: la placenta, il sangue, il midollo osseo, i segmenti ossei, la cute, il lobo piccolo del fegato, un rene. Solo per quest’ultimo, in Italia sono circa 8.700 le persone in lista d’attesa per un trapianto. L’attività riguardante i tessuti umani è quella che maggiormente ha risentito degli effetti della pandemia: le donazioni sono calate del 31 per cento, i trapianti del 22,5 per cento, pari a 4 mila in meno rispetto allo scorso anno. Una diminuzione che ha colpito tutti gli ambiti d’intervento: in particolare la cornea, -29 per cento dei prelievi e -25,2 per cento dei trapianti, e l’osso, -41,7 per cento dei prelievi e -23,1 per cento dei trapianti.
Qual è la procedura per donare?
L’accertamento di morte in terapia intensiva avviene con criteri neurologici da parte di tre medici nominati dalla Direzione sanitaria dell’ospedale: un rianimatore diverso da quello che ha accertato il decesso; un neurologo e un medico legale. Per due volte nell’arco di almeno sei ore dev’essere verificata la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo. Se la persona deceduta aveva espresso il suo consenso o, in assenza, se lo accordano i familiari, si procede al prelievo degli organi. Tutto avviene in forma anonima: donatore e ricevente non si conoscono.
In questo 2021 c’è un importante anniversario.
Cercheremo di ricordare al meglio la nascita della «Donatori Organi Bergamo» – avvenuta nel novembre del 1971 su iniziativa di Giorgio Brumat –, precursore di Aido che nacque un anno e mezzo dopo. Quest’opera e quella dei primi promotori in Italia della nostra associazione è stata profetica: basti pensare che la prima legge su donazione e il trapianto è arrivata solo nel 1999.
I vostri obiettivi futuri?
C’è un forte impegno a coinvolgere i giovani. Per farlo è strategico lavorare sul web e con le app: da qui nasce il nostro progetto «DigitalAido». Oltre alla già avviata campagna di sensibilizzazione nei comuni, con la formazione degli addetti alle Anagrafi, vorremmo entrare di più nelle scuole, compatibilmente con la situazione pandemica. E rafforzare la collaborazione col Centro nazionale trapianti e la rete trapiantologica, con le altre associazioni del dono (Avis, Admo…) e le categorie professionali coinvolte nell’attività di trapianto (medici, infermieri…). La cultura della donazione va sostenuta e rilanciata, perché quando non arriva l’organo da trapiantare, non si può salvare una vita. Naturalmente dobbiamo investire molto sulla formazione dei volontari. Non potremo fare tutto, non ne abbiamo la possibilità, ma di certo faremo tutto il possibile senza trascurare nulla e nessuno.
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