L'innocenza ritrovata
Chi, almeno una volta da piccolo, durante un temporale, non ha preso l’ombrello e poi via, fuori a godersi il ticchettio della pioggia, l’odore dell’erba bagnata e il rumore del tuono? O non è saltato a piedi uniti in una pozzanghera, felice di inzaccherarsi? Ed è stato come sentirsi nel vivo della creazione, quasi un tornare indietro nel tempo, quando il rapporto con la natura era innocente, puro. Quella purezza che traspare dal Cantico delle Creature di san Francesco: niente ci è «contro», tutto è dono e presenza carica di significato umanizzante, «ambiente divino» che custodisce la dignità dei figli di Dio.
La navata della Basilica inferiore di San Francesco ad Assisi, nata come chiesa sepolcrale del Poverello, è retta da tozzi pilastri laterali che si sviluppano come poderosi tronchi che crescono e ramificano nei costoloni policromi delle volte, disegnando vele di cielo cobalto trapuntato di stelle luccicanti; e dalla parete destra spicca la celebre Predica agli uccelli, che descrive san Francesco come l’uomo che in Cristo è rifatto innocente e inserito nel giusto rapporto con il Creato.
Un nuovo rapporto con la creazione, ogni vero impegno «ecologico», è segno di un nuovo rapporto con Dio in Cristo ri-Creatore, nel quale la pace si estende a tutto. È di questo sentire il nostro sant’Antonio che, nei suoi Sermoni, impiega innumerevoli citazioni dalla storia naturale, dai bestiari medievali oltre che dalla propria esperienza; nella creazione tutto è richiamo a un valore più alto di moralità ed è richiamo a Dio.
Antonio vive e si muove consapevolmente nel creato, lo vediamo anche nel suo lungo itinerario dalla Sicilia verso Assisi nella primavera del 1221. In questo mese di marzo immaginiamo frate Antonio che incontra la Basilicata, forse seguendo l’antica via Popilia che va da Reggio a Capua, lambendo una bellissima terra con i suoi due mari, i suoi fiumi, i laghi artificiali, il parco della Murgia materana ricco di chiese rupestri, il parco dell’Appennino lucano, e quello del Pollino; terra dove si gode il mare e la neve, si cammina lungo bellissimi itinerari naturalistici e storici, e nei boschi si incontrano istrici, caprioli, lupi.
Il Santo che cosa ha ammirato di più lungo quel viaggio? Le stelle della notte che gli richiamavano la stabilità del peccatore pentito saldo nella conversione, o il sole che con i suoi raggi filtra e mette in evidenza le imperfezioni dell’aria, oppure i fiori che gli richiamano perfino il nome di Nazaret, o ancora gli uccelli del cielo che gli fanno pensare al «volo» di Gesù nella sua ascensione al cielo?
Anche questo tratto di cammino gli ha certamente permesso un rapporto curioso e meravigliato con elementi del Creato che ancora non conosceva; troveremo spesso, infatti, nelle sue biografie «miracoli» con piogge che non bagnano, con acque che non affogano e con fango che non insudicia, proprio com’è per quel bambino che sguazza bel bello nella pozzanghera. E non parliamo, poi, di pesci che ascoltano e di una mula che devota si inginocchia…
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