Andrà tutto bene?
Effettivamente, basta sostituire il segno di interpunzione, un punto esclamativo con uno interrogativo, e non solo cambia l’intonazione della voce, ma anche le nostre emozioni. E non per poco: la stessa distanza che corre tra una certezza e un dubbio! Anche se, talvolta, pure il punto esclamativo è in realtà un punto interrogativo ma camuffato. Capita quando non siamo proprio sicuri, per rimanere nel nostro esempio, che tutto davvero andrà per il meglio. Anzi, siamo persino certi, dentro di noi, che non sarà così. Però abbiamo bisogno di illuderci. Di pensare, anche solo per un attimo, che sì, perché no, ma certo: andrà sicuramente tutto bene! Più il problema è grave e più ci aggrappiamo e condividiamo slogan come questo. Serve a farci forza, a pensare di sostenerci l’un l’altro. Soprattutto a tenere aperta la porta della speranza, o almeno un pertugio.
Così, durante la famosa quarantena, «Andrà tutto bene!» era scritto ovunque, abbellito da immagini altrettanto rincuoranti (arcobaleni, cuori, ecc.). Ce l’hanno detto in tutte le salse, e anche noi ce lo siamo scambiati convintamente come augurio. Convintamente?! Mah, forse neanche tanto. Forse sforzandoci di esserlo, nella consapevolezza dell’ipocrisia o ambiguità di ciò che andavamo affermando... «Andrà tutto bene!»: andate a dirlo a Bergamo. Andate a dirlo alle migliaia di persone morte a causa del virus. Andate a dirlo nelle case di riposo, dove tanti, troppi, nonni e nonne se ne sono andati in solitudine.
Allora, in che senso «Andrà tutto bene!»? Al massimo perché a qualcuno è andata bene, ma a tanti altri no. Non certo nel senso che, comunque vada, andrà tutto bene: senza l’impegno di tutti e il senso di responsabilità di ognuno, si rischia, in realtà, di non andare proprio da nessuna parte. Semmai che, se pure è andata bene a chi non si è ammalato, poi la differenza l’hanno fatta e la stanno facendo le risorse che uno ha o non ha. Ai poveri, non sta andando per niente bene. No, non andrà tutto bene, né in questa né in nessun’altra situazione, neanche in questo 2021.
Non possiamo imbrogliarci o raccontarci balle al proposito. Non viviamo in una favola e nessuno di noi possiede una bacchetta magica. Possiamo solo decidere come starci dentro, in quello che capita, come e quanto coinvolgerci responsabilmente. La cura per la disperazione non è l’illusione a buon mercato, ma la riscoperta di ciò che vogliamo fare per ciò che ci sta a cuore. Che senso dare alla vita: in generale, ma soprattutto alla nostra e a quella degli altri. E in compagnia di chi viverla.
Prendete, per esempio, il nostro battesimo. Non ce lo ricordiamo, ma a un certo punto del rito il celebrante tira fuori un olio, consacrato e profumato, che si chiama «dei catecumeni», per l’orazione di esorcismo. Al che immancabilmente gli adulti presenti sgranano gli occhi negativamente meravigliati. E certo, come non pensare al film L’esorcista o a storie simili di possessione?! Che ha a che fare tutto questo con un piccolo e innocente bimbo appena nato?! Eppure è un atto di grande rispetto, oltre che di verità.
Io non posso garantire nemmeno a questo bambino che, appunto, andrà tutto bene: che la vita è solo facile, in discesa, che non esistono pericoli o la possibilità di incidenti di percorso. Se lo facessi, gli starei rifilando una grossa bugia. Quello che posso però promettergli, questo sì, è che, in qualsiasi momento, bello o brutto che sia, Gesù è con lui! Questo non lo terrà lontano dai guai, come non vi ha tenuto noi, ma ci dà la capacità in ogni istante, come dire?, di immaginare e perciò di fare il meglio possibile.