Il Natale tra gli ulivi del Getsemani
Suona strano parlare di Natale nei luoghi dove si è consumata la Passione. Accostare Betlemme a Gerusalemme, seguendo il percorso della «Luce», dalla grotta della Natività fino all’uscita dal Sepolcro. Ci viene, però, incontro la geografia: le due grotte dell’antica Giudea distano appena qualche miglio. Check-point militari permettendo, in poco meno di mezz’ora di macchina si può passare dal Natale alla Pasqua del Signore. Pochi chilometri sufficienti a rendere tutto «così vicino e così lontano».
In Terra Santa il Natale non è mai stato tanto «distanziato» come quest’anno. A causa del covid sono state sospese le visite dei pellegrini. «Una Terra Santa così – spiega fra Diego Dalla Gassa, frate minore del convento del Getsemani –, non l’ho mai vista, neppure ai tempi delle tensioni militari. Oggi il virus è un temibile e invisibile nemico anche qui!». In effetti, Gerusalemme e Betlemme appaiono spente e silenti come mai: «Sicuramente sarà un Natale più intimo per tutti noi che abitiamo questi luoghi – afferma il frate, membro della piccola comunità (cinque frati) custode del luogo –. L’assenza di fraternità con i pellegrini priverà queste feste della luce condivisa».
Ma non è il caso comunque di disperarsi. Per fra Diego, la luce più autentica e profonda, che da millenni si respira in questi luoghi, rimane accesa. «È la stessa luce che mi ha cambiato l’esistenza, portandomi dal mondo dei paracadutisti militari della Folgore, a quello francescano».
Bussando al piccolo portone da cui si accede all’eremo del Getsemani, si ha la sensazione di oltrepassare uno stargate (porta delle stelle), per poi avanzare silenziosi tra i terrazzamenti del giardino, con le fronde glauche degli alberi che sembrano accarezzare chi vi passa a fianco. «Sono i testimoni viventi di Nostro Signore – anticipa fra Diego –, le cui radici millenarie sono quelle del tempo stesso di Gesù. Anzi, forse sono più antiche ancora!».
Di ulivi la Terra Santa è piena: Betlemme continua a esserne punteggiata. Ma è tra i rami e i tronchi nodosi di quelli presenti nel Getsemani che il 47enne frate, nativo della Valle del Chiampo, nel Vicentino, intreccia la sua vita. «Ci troviamo in un luogo santo e per “contatto” sentiamo che il Signore ci santifica. Continua a farlo ogni giorno, anche nel silenzio di questo tempo che ha fermato ogni “festa”. Ciò consente a noi frati di percepire tangibilmente la responsabilità della custodia di questi luoghi: da Betlemme a Gerusalemme fino a Nazareth».
Passo dopo passo, ecco che s’intravvedono qua e là le prime casette cenobitiche, divenute oggi oasi di spiritualità nel verde: «Sono il frutto dell’eredità spirituale che trentacinque anni fa ci lasciò l’allora padre Giorgio Colombini, il quale decise di trasformare dodici vetuste stalle in spazi aperti agli uomini di buona volontà, intenti a meditare le parole che Gesù espresse proprio in questo orto: “State qui con me, vegliate e pregate…”».
Pietre e alberi qui hanno davvero un linguaggio misterioso, quasi tattile: «Abbiamo un’assoluta aderenza storico-archeologica che identifica con precisione questo luogo con quello amato da Gesù, nelle varie discese dalla Galilea» spiega fra Diego. La Basilica progettata un secolo fa dall’architetto Antonio Barluzzi troneggia a qualche centinaio di metri da noi: «Dentro vi possiamo leggere l’eterna lotta tra le tenebre e la luce. Poco più in là, troviamo un’altra grotta, quella del frantoio che dà origine al nome Getsemani (luogo del frantoio), il posto dove Gesù si ritirava con i discepoli. Ancora un antro nella terra, quasi a volerci dimostrare come la storia della salvezza sia un continuo entrare e uscire dalle nostre “grotte” personali, come fu per Maria e Giuseppe nella grotta di Betlemme o per Pietro e la Maddalena all’uscita del sepolcro vuoto».
L’ortolano col saio
Gli ulivi sono un segno distintivo nella vita di fra Diego. Da quelli di Assisi, dove ha scoperto la vocazione francescana, a quelli millenari del Getsemani, che lui oggi è chiamato a custodire. «Sono un semplice frate che ha il privilegio di stare in un luogo amato da Gesù, e mi sento indegno di coltivare quanto vi cresce: 226 speciali ulivi. Con loro – continua – cresce anche la mia fede».
Analisi paleobotaniche confermano come gli ulivi del Getsemani si sviluppino da ceppaie di duemila anni fa. Hanno radici profonde anche due metri. «La loro età, però, è difficile da stabilire con certezza» spiega fra Diego, che di solito (tranne quest’anno), in autunno coordina i volontari nella raccolta e nella frangitura delle olive. «Queste vengono snocciolate e i piccoli semi dati a famiglie cristiano-palestinesi per essere trasformati in rosari. L’olio ricavato viene consacrato il giovedì santo per uso sacramentale e distribuito a tutte le parrocchie della Terra Santa. Una parte poi viene consumata in comunità, e posso garantire che si tratta di un olio speciale anche nel gusto, che quest’anno contribuirà a dare sapore al nostro singolare Natale».
«Ogni anno – insiste fra Diego – alla vigilia di Natale è nostra abitudine incamminarci dal Getsemani verso la “casa del pane”, la città di Bet-lehem, distante undici chilometri. Ma ciò che era normale prima oggi non lo è più a causa della pandemia. E allora io cerco consolazione a questo strano tempo pensando a quella santa notte. Immagino Maria e Giuseppe col Bambinello, i pastori, il cielo stellato. La notte del 24 dicembre è unica e irripetibile, perché vi è nato il Salvatore del mondo.
Dicono gli astronomi che al tempo della venuta di Gesù vi fu un congiungimento di stelle. Per forza, penso io, il Figlio di Dio, luce infinita, è sceso per farsi carne tra la carne! E mi tornano alla mente le parole del Custode di Terra Santa, nell’augurio natalizio di un anno fa: “Per san Francesco, in ogni Eucaristia, per mano del sacerdote, sull’altare si ricrea una piccola Betlemme. Una grotta in cui il Figlio di Dio diventa carne nella consacrazione del Pane”. In questa notte da cori celesti, io mi trovo nel giardino della Passione – conclude fra Diego –. È un privilegio. È sempre nella notte che Dio agisce con la sua luce mentre l’uomo dorme o giace nella paura. Così è stato anche per la mia vocazione.
Secondo il Targum (versione in aramaico della Bibbia ebraica, ndr), si tratta della notte del Messia in cui Dio salva. Così quel Bambinello in missione verrà nel Getsemani e chiederà ai suoi di pregare ancora con lui. “Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: ‘Padre, se vuoi, allontana da me questo calice’! (Lc 22,39)”. Alzo lo sguardo per cercare la luna che si nasconde tra gli ulivi e penso: “Quanto c’hai amato Signore!”».
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