Famiglie all’epoca del covid
«Cari Edoardo e Chiara, siamo una famiglia che abita in Lombardia: io, mio marito e i nostri quattro figli (tre maschi e una femmina) di 12, 10, 6 e 3 anni. Vi scriviamo (la lettera è stata scritta a metà novembre, n.d.r. ) per condividere con voi e con altre famiglie l’impatto sulla nostra famiglia della difficile situazione legata al covid. Io, Daniela, lavoro come maestra e Mauro, mio marito, come commerciale in una ditta di materiale edile. Accanto a noi abitano i miei genitori ormai anziani (mio padre è stato più volte ricoverato in ospedale negli ultimi anni), che per noi sono sempre stati un aiuto discreto e prezioso. Alla data di oggi non li vediamo, pur abitando a 50 metri di distanza, da oltre un mese. Come faccio ad andare a trovarli con i figli che frequentano la scuola? E se fossimo noi a portare loro il virus? E se questo fosse mortale per mio padre? Non ci possiamo permettere un tale rischio, quindi evitiamo di frequentarli. Ci mancano e, inoltre, la mancanza del loro aiuto complica molto la nostra organizzazione familiare. Da dieci giorni, poi, nostro figlio più grande, in seconda media, al mattino è a casa in didattica a distanza. Sinceramente sono un po’ preoccupata a lasciarlo tutte le mattine da solo: è un ragazzo in gamba, ma ha pur sempre 12 anni, un’età in cui non ci si può gestire da soli. Qualche mattina fa, per esempio, sono entrati i ladri in una casa del nostro quartiere. E se succedesse lo stesso mentre nostro figlio è a casa solo? Per non parlare poi dell’abuso da parte sua di computer, telefono, tablet, tv... Ma, chiuso in casa tutto il giorno, senza amici da poter incontrare, che alternative può avere? Non bastasse ancora, la scorsa settimana la piccolina, al primo anno di materna, ha avuto due giorni di febbre. In un tempo normale non ci sarebbe stato problema, ma ora non sapevamo che cosa fare, sia per lei che per noi: bloccare qualsiasi contatto (evitando anche, per esempio, di andare a Messa)? Uscire con prudenza? Alla fine abbiamo deciso di auto isolarci. Poi, dopo che la piccola era sfebbrata da tre giorni, abbiamo telefonato al pediatra convinti che ci avrebbe prescritto il tampone e invece, senza visitarla, ci ha detto che se la bambina stava bene poteva andare a scuola. A quel punto ci siamo chiesti: ma siamo noi troppo attenti e preoccupati o è il pediatra troppo “leggero” nell’affrontare la questione? Tutto questo senza calcolare i “numeri” funambolici che facciamo per incastrare orari di andata e ritorno da scuola dei figli (tutti diversi), il nostro lavoro e la gestione di tutte le altre incombenze. Siamo molto stanchi e, non sapendo quando finirà tutto questo, molto preoccupati».
Daniela e Mauro
Carissimi Daniela e Mauro. Comprendiamo benissimo la vostra fatica, perché è anche la nostra, come famiglia, e quella di tanti altri. Abbiamo voluto rispondere alla lettera che ci avete scritto perché è molto attuale, anche se speriamo che nel momento in cui essa verrà pubblicata (a gennaio, tra un mese e mezzo rispetto a quando vi stiamo rispondendo) le cose andranno un po’ meglio. Già la vita di famiglia – ne abbiamo più volte scritto in passato – ha un suo alto indice di complessità: lavoro, casa, burocrazia, scuola, sport, genitori anziani, ecc. Questa drammatica situazione sanitaria e le contromisure per arginarla, poi, non hanno che aumentato le fatiche che una famiglia con figli si trova ad affrontare.
La questione, come dite bene, non è però solo organizzativa, bensì richiama tutta una serie di dilemmi morali che non sono di facile risoluzione. Noi adulti possiamo anche restare senza vedere i nostri amici per qualche mese, magari accontentandoci di sentirli solo in videochiamata, ma i nostri figli – dalla materna alle superiori – è giusto che, oltre a rinunciare alle attività extrascolastiche (dall’animazione allo sport), debbano rinunciare anche a qualsiasi contatto sociale? Soprattutto in preadolescenza e adolescenza, periodi in cui gli amici, lo sperimentarsi, le prime cotte, la semplice pizza a casa di qualcuno, i festini, ecc... sono particolarmente importanti. Che impatto avrà questa clausura forzata sulle loro vite, sulla loro crescita? Il rischio è che il virtuale prenda sempre più piede, che social, videogiochi e serie tv diventino il riempitivo di un tempo privato delle relazioni.
Forse il coronavirus riusciremo a sconfiggerlo, ma avremo creato una generazione di solitari, all’interno della quale solo in pochi riusciranno a scrollarsi di dosso questi effetti, magari rischiando di buttarsi in eccessive compensazioni. Neppure l’alternativa è però allettante. Infatti, acconsentire che i ragazzi si frequentino lo stesso, magari in casa per evitare sanzioni o rimproveri, è molto pericoloso dal punto di vista educativo. Si lancerebbero messaggi sbagliati: le regole sono sempre aggirabili, l’importante è evitare le sanzioni, il bene privato (cioè la mia voglia di incontrare gli amici) è più importante del bene collettivo (tutelare la salute pubblica). Anche questo tipo di atteggiamento degli adulti lascerebbe pesanti strascichi individualistici.
Noi, come coppia, non abbiamo soluzioni da offrirvi. Cerchiamo di porci in una via di mezzo, quella del buon senso, che non coincide con nessuna delle due posizioni fin qui descritte. Ad esempio, lasciamo che i nostri figli più grandi si incontrino con un amico o amica, magari sempre lo stesso o la stessa, indossando senza eccezioni la mascherina e cercando di mantenere il giusto distanziamento fisico. Cerchiamo, insomma, di coniugare la prudenza con la consapevolezza dell’importanza delle amicizie. A nostro parere state facendo bene a tutelare i nonni così come a evitare di andare a Messa, nel dubbio di un contagio, perché il bene dell’altro è primario. Domenica prossima ci ritornerete e potrete riabbracciare Nostro Signore (almeno Lui si può): chissà che a breve non lo si possa fare anche tra di noi!
Edoardo e Chiara Vian
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