Guardando il virus più in là
«Gentile direttore, in questo periodo in cui tutti si lamentano per le restrizioni del covid, mi sono sorpresa questa mattina a trovare sollievo in questa situazione. Ho un figlio di 15 anni con un lieve ritardo. È inserito in una seconda classe in un istituto professionale, ha un profitto sufficiente nonostante le difficoltà e le poco incoraggianti parole del dottore che lo aveva in carico. Dovrei essere contenta e tante volte provo un profondo senso di gratitudine per Dio che ci dimostra spesso la sua vicinanza durante il nostro cammino. Però mi stringe il cuore perché lo vedo piuttosto solo ed emarginato a scuola, da sempre, e ora più che mai. Mi rendo conto che il suo essere più piccolo e immaturo rende la sua compagnia assolutamente poco attraente per i suoi compagni. Non riesco a biasimarli, ma soffro per l’impotenza mia e sua in questa situazione. Soffro tanto anche perché, per motivi diversi, anche io ho affrontato la stessa solitudine in gioventù. Sapere che ora nessuno può festeggiare il compleanno, a cui lui non sarebbe invitato, che non possano andare in gita, dove sarebbe escluso, è meschino, però mi consola. Non so come uscire da questo brutto sentimento, che non fa bene a me e neppure alla mia famiglia, anche se io non ne faccio parola. Se può darmi un consiglio e pregare per me, le sarei grata».
Una mamma preoccupata
A chi ha pensato, quasi con sollievo di classe, che questo virus fosse, come dire?, democratico, addirittura non razzista, basterebbe una storia come quella che ci ha raccontato questa mamma per ricredersi.
O meglio, il virus in quanto tale non è assolutamente schizzinoso, e non preferisce l’uno piuttosto che l’altro: chi piglia piglia, senza guardare in faccia chicchessia e nemmeno l’albero genealogico o il conto in banca.
La differenza, ancora una volta, anche in questo caso, la facciamo ancora noi: le nostre ingiustizie, i nostri egoismi, i nostri menefreghismi. Le nostre scelte, economiche, politiche, culturali, sociali, che stanno a monte o che sono state prese nell’emergenza, queste e non la sfortuna o il caso fanno sì che si capovolga il già non tanto equo slogan dei maiali della Fattoria degli animali: tutti gli uomini sono disuguali, ma qualcuno più degli altri.
«Andrà tutto bene!», che abbiamo appeso alle nostre finestre o ce lo siamo augurati fino alla noia, era, da questo punto di vista, un’affermazione persino ingiusta: a parità di condizione, cioè che ci si sia potuti ammalare un po’ tutti senza distinzione, o che tutti ci si sia invece costretti a sottostare alle restrizioni varie imposte, poi in realtà è andata bene soprattutto a chi se lo poteva permettere, a chi aveva le risorse necessarie. Ai poveracci, mi dispiace, ma non sta andando bene un bel niente! Per questo riusciamo a intuire le preoccupazioni e la rabbia della nostra mamma, e anche a giustificarle i pensieri «cattivi» di rivalsa.
Non è certo un momento di crisi quello giusto per risolvere i problemi, ma che almeno ciò che stiamo vivendo e provando direttamente sulla nostra pelle, beh, ci serva poi a contribuire a un mondo che sia davvero ospitale e casa per tutti, senza distinzioni. Un caro saluto a tuo figlio!
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