L’abbraccio è un futuro
C’è un video nel labirinto di Youtube dove un uomo dai capelli bianchi, un biologo celebre, l’olandese Jan van Hoff, va a salutare Mama. Mama è vecchissima e malata, ha 59 anni e ha perso tutti i denti, la sua pelle è raggrinzita, non ha più forze, non si alza dal suo giaciglio. Sta morendo. Mama riconosce Jan e prima gli sorride e poi lo abbraccia. Lo stringe con la mano dietro la testa. Le sue dita danno dei colpetti sul collo dell’amico. Jan ricambia grattandole una spalla e un braccio. Mama è una scimpanzé, la matriarca dello zoo di Arnhem. Morì pochi giorni dopo quell’ultimo abbraccio.
Scrivo mentre ancora non è possibile abbracciarsi. In molti lo fanno, e noi pensiamo che sono dei temerari o degli imbecilli. C’è un virus a imporci di non abbracciarsi. Come è possibile? Ezio Bosso, il grande musicista morto a maggio, ripeteva sempre: «Siamo nati per stare assieme» e si era fatto una promessa, per il giorno in cui la pandemia si sarebbe dissolta: abbracciare gli amici, abbracciare un albero, abbracciare. E i suoi abbracci sono sempre stati avvolgenti, intensi, eterni. Già, Jacques Prévert sarà pur stato un poeta semplice, ma quanta ragione e bellezza c’erano quando ha scritto: «Migliaia e migliaia di anni/non basterebbero/per dire/il minuscolo secondo d’eternità/in cui tu mi hai abbracciato/in cui io ti ho abbracciata».
Roland Barthes, semiologo, scrittore, genio della parola, ha descritto così il gesto di abbracciarsi: «una stretta immobile», ne rimaniamo «ammaliati, stregati, siamo nel sonno, senza dormire; siamo nella voluttà infantile dell’addormentamento: è il momento delle storie raccontate…». E ancora: «Tutti i desideri sono aboliti perché sembrano essere definitivamente appagati». L’abbraccio è una quiete, una speranza, un futuro.
«Non potete abbracciarvi» ci hanno spiegato i virologi, ce lo hanno imposto i governi. Con ragione e saggezza. Ma come possiamo fare, noi uomini e donne? Come è possibile non toccarsi, non abbracciarci, non avvertire il brivido dei corpi e dell’anima?
Mi sono ricordato di questa foto. Sono Angelo e Claudia. La fotografia è stata scattata in un vecchio forno in una casa di Atena Lucana, un piccolo paese sui confini fra Campania e Lucania. Il pane, quel giorno, era venuto bene. E loro erano felici e stanchissimi. La loro felicità leggera è stata un abbraccio. Hanno chiuso gli occhi e hanno reso eterno un istante.
Chiedo al virus di restituirci gli abbracci che ci ha tolto.
Il video di Mama e Jan è qui: https://www.youtube.com/watch?v=INa-oOAexno