17 Giugno 2021

La scuola della pastorizia

Una novità importante sta arrivando nel mondo della pastorizia italiana. È come uno schiocco di dita: Snap. Che sta per Scuola Nazionale di Pastorizia.

La scuola della pastorizia

Il mondo delle pecore e delle capre è attraversato da una contraddizione: quando incrociamo un gregge (ai bordi di una strada o nei pascoli in quota) ci fermiamo e cominciamo a fotografare. Felici di aver assistito a una bella scena rurale. Il mestiere del pastore ha una buona immagine, negli ultimi anni ha ritrovato una mitologia contemporanea. Ma, a leggere alcuni studi, è sempre meno praticato. Negli ultimi trent’anni ben più della metà delle aziende pastorali è stata costretta alla chiusura: ne sono sopravvissute solo 50 mila (erano 160 mila nel 1990). Un terzo delle aziende si trova in Sardegna. Difficile è il ricambio generazionale.

Ma, è anche vero che, in questi ultimi anni, si è assistito a una lenta inversione di tendenza. Cinque anni fa, una indagine della Coldiretti contava almeno duecentomila pecore in più rispetto al quinquennio precedente. Le pecore erano più di sette milioni di capi. E molti giovani, si diceva, cercavano di farsi largo alla guida di greggi importanti. Ragazzi con passione. Così si sono salvate razze sull’orlo dell’estinzione, è stato tutelato un paesaggio, si è contrastato l’abbandono dei pascoli, ridotto il calo demografico delle aree montane, è stata difesa una preziosa biodiversità e le nostre sono state arricchite di prodotti caseari di grande qualità (formaggi, latte, ricotte…). L’Unesco ha riconosciuto la pastorizia come «patrimonio immateriale dell’umanità».

Anna Kauber, regista, scrittrice e architetta, ha percorso 17 mila chilometri per raccontare la storia di oltre cento donne pastore fra i venti e i cento anni: nel 2019, il suo film (In questo mondo) è stato premiato al Film Festival di Torino. Già, a volte si ha la sensazione che la presenza di donne che scelgono il mestiere di pastore stia crescendo. Il mondo dei pastori racchiude ragazze e ragazzi. Ha futuro. E la tragedia di Agitu Idea Gudeta, bravissima pastora dalle origini etiopiche, celebre sulle montagne del Trentino, uccisa alla fine dello scorso anno da un suo lavorante, ha fatto, drammaticamente, conoscere il mondo delle donne-pastore.

Una novità importante sta arrivando nel mondo della pastorizia italiana. È come uno schiocco di dita: Snap. Che sta per Scuola Nazionale di Pastorizia. Prenderà avvio nei primi mesi del prossimo anno. Partirà dal Piemonte, ma, attività «nomade», si muoverà per gli Appennini, le Alpi e le montagne delle isole, tutte terre di pastori. «Oggi i pastori devono sapere di gestione del territorio, sapere di parchi, di turismo, di anti-incendio, avranno compiti nuovi – spiega Michele Nori, uno degli animatori della Scuola –. Le aziende zootecniche sono presidio territoriale».

Un tempo, il pastore e la scuola abitavano mondi che non si sfioravano: «Non vuoi studiare? Vai a badare alle pecore». La nuova Scuola di Pastorizia vuole lasciarsi alle spalle questa «separazione». Oggi i giovani pastori hanno diplomi e lauree. «Il pastore deve conoscere leggi, sapere di informatica, di veterinaria, deve apprendere regole di convivenza con i predatori» dice ancora Nori. In Francia, in Spagna la realtà delle Scuole di Pastorizia ha storia e salde radici. In Italia è tutta da costruire. «Dobbiamo favorire l’ingresso in questo mestiere anche a chi non appartiene a una tradizione di pastori, ma ha voglia di provarci, di vivere all’aperto, di impegnarsi». C’è bisogno di ragazzi e ragazze che vogliano mettersi alla prova. «Bisogna preservare identità e tradizione di un lavoro e, allo stesso tempo, avere cura di ambiente ed equilibri ecologici».

Devo raccontarvi due storie attorno alle pecore. Nella punta estrema della Toscana, in Lunigiana, pascolano pecore rustiche. Le pecore zerasche. Oltre venti anni fa, ricercatori dell’università di Pisa e gente di Slow Food si arrampicarono fino a queste montagne solitarie. I primi sorpresi di trovare ancora questi animali, i secondi alla ricerca dei loro celebri presidi del cibo. Trovarono un piccolo gruppo di donne che si occupavano delle greggi, i loro agnelli incantarono gli amanti della carne. Quelle ragazze, allora avevano poco più di 30 anni: furono ribattezzate, da Davide Paolini, giornalista del «Sole24ore», «Le signore degli agnelli».

Vent’anni, dopo, Cinzia, Valentina, Patrizia e le sue amiche sono celebri imprenditrici della pastorizia. Poco meno di duemila pecore in tutto. Cinzia oggi alleva quattrocento capi, tutti da carne. Le donne della Lunigiana sono una prova del successo del mestiere di pastora. Un’altra piccola storia: ne ho sentito parlare nelle balze attorno a Volterra, alcuni pastori producono caglio vegetale (dal cardo mariano e dai carciofi, e perciò apprezzato dai vegani) per ricavarne pecorino. Un eccellente pecorino. Una bella idea.

La Scuola non avrà banchi, sarà itinerante, attraverserà i pascoli degli Appennini e delle Alpi. Esplorerà le isole. Mi piacerebbe sedere sulle pietre di una radura e seguire i primi passi dei nuovi pastori.

 

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Data di aggiornamento: 17 Giugno 2021
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