Naderi, un guerriero con la cinepresa
«La vita è una sfida, affrontala» recita madre Teresa di Calcutta in un verso di Inno alla vita (a lei attribuito). Chissà se – approdato alla Mostra del cinema di Venezia lo scorso settembre – il regista Amir Naderi aveva in mente le parole della santa (canonizzata il 4 settembre scorso). Giunto in laguna per presentare Monte, la sua ultima fatica, il cineasta iraniano ha spiegato l’importanza di spingersi sempre al limite, per superare se stessi e per fare spazio alla luce.
Sorridente e modesto come solo i grandi sanno essere, Naderi ha confermato quel che amici e collaboratori dicono di lui. «Quando lo incontrai rimasi emotivamente scossa – ricorda Claudia Potenza, tra i protagonisti di Monte –. Amir è un visionario meravigliosamente randagio. Girare il suo film è stata un’esperienza di vita, prima che professionale». Dello stesso avviso Andrea Sartoretti, altro interprete della pellicola girata da Naderi in Alto Adige (sul gruppo del Latemar) e Friuli (tra Erto e Casso e Sott’Anzas): «La prima volta che ho incontrato Amir, sono rimasto sconvolto. È un animale, una bestia. Sono stato conquistato da lui, come pure dal suo film». Non è un caso che quest’anno a Venezia il regista abbia ritirato il premio Jaeger-LeCoultre Glory to the filmmaker, dedicato a una personalità che ha segnato in modo particolarmente originale il cinema contemporaneo. «Amir Naderi – commenta in una nota Alberto Barbera, direttore del 73º Festival – ha contribuito in maniera decisiva alla nascita del nuovo cinema iraniano negli anni ’70 e ’80 (...). Ma anche dopo il suo trasferimento a New York nel 1988, Naderi è rimasto ostinatamente fedele a se stesso e a un’idea di cinema di ricerca e sperimentazione per nulla incline alle mode e alle facili scorciatoie».
Nel suo ultimo lavoro il maestro iraniano non si è smentito. Ambientato nel Trecento, in un paesino apparentemente dimenticato da Dio, Monte è la metafora della lotta tra uomo e natura, un monito a non arrendersi mai di fronte a quel che ci sembra impossibile. Protagonisti della pellicola: da un lato il contadino Agostino (Andrea Sartoretti) e la sua famiglia, dall’altro la montagna che li condanna a una vita di desolazione e solitudine. Lasciare il paese natìo e ricominciare altrove è una tentazione forte. Ma le radici meritano di essere preservate. E così Agostino decide di restare e combattere per un futuro migliore. Che si tratti di spaccare un’intera montagna per far passare la luce, o di girare un film che resterà nella storia, il messaggio non cambia. E Amir Naderi questo lo sa bene. Ogni impresa, per quanto piccola, richiede un sacrificio. «Affrontare la sfida» è l’unico modo per far trionfare la vita. La luce, in fondo, trova sempre una via.
Msa. In oltre quarant’anni di carriera, dopo l’Iran, gli Usa e il Giappone, questa è la prima volta che ambienta un film in Italia. Come mai?Naderi. Venezia è casa mia e il cinema italiano è tra i miei preferiti. Ho scelto di girare qui perché desideravo far parte di questa vostra grande tradizione. Da sempre amo l’Italia, la sua atmosfera, le sue stagioni. Nella mia mente immagino che già in passato il vostro Paese sia vissuto nell’ombra, poi (come accade nel film, ndr) qualcuno ha tagliato la montagna e portato la luce. Di recente, però, mi pare che le tenebre siano tornate. Ecco perché è indispensabile che gli italiani tornino a credere nel loro Paese: hanno un debito nei suoi confronti. Al di là del turismo, è ora che si lascino ispirare dai grandi (cineasti in primis, ndr) del passato.
Girare sui rilievi dell’Alto Adige e del Friuli, a oltre 2.500 metri, non dev’essere stata una passeggiata. Cosa l’ha spinta a osare tanto? La storia di Monte mi accompagna da circa quindici anni. Finalmente ho trovato un produttore che ha creduto in questo progetto. Quanto alle montagne, in Italia sia esse sia la luce che le avvolge sono diverse da ogni altro luogo. Michelangelo, e come lui molti altri artisti del passato, hanno lottato con la pietra italiana per realizzare i loro capolavori. Anche io volevo creare qualcosa di speciale e impossibile. E sin da subito l’Italia mi è parsa il posto ideale a tale scopo.
Quello di Monte è stato un parto travagliato? Non scelgo mai una storia se non so fin dall’inizio cosa fare col montaggio e col sonoro. Nel caso di Monte, però, è stato più complicato. Avevo infatti a che fare con diversi protagonisti: da un lato Agostino, con la moglie Nina e il figlio Giovanni, dall’altro la montagna, che per me è un personaggio a tutti gli effetti. Senza il ruolo di quest’ultima non avrei mai potuto girare il film.
Cosa rende la pellicola unica nel suo genere? Il mio film parla di un’ossessione. Al suo interno coesistono il potere, l’aria, la luce. È il mio sforzo di mettere tutto me stesso nel cuore dei protagonisti, la sfida di portare sullo schermo l’immaginario e l’impossibile. Non a caso, di fronte a tanti pericoli, i personaggi si spingono al limite. Pensandoci bene, la cosa incredibile del cinema è proprio questa magia che non si può controllare.
Qual è il messaggio principale che intende veicolare? Credo che alla base di Monte ci sia una storia universale. I giovani d’oggi provano le stesse sensazioni di Agostino. Tutti noi abbiamo degli obiettivi nella vita. Bisogna crederci e avere pazienza, usare la mente e l’immaginazione. E poi, una volta raggiunto il risultato, è fondamentale saperlo condividere con gli altri.
Nella sua carriera ha girato una ventina di pellicole. Opere che tuttavia, in molti Paesi, compresa l’Italia, sono state penalizzate da una scarsa distribuzione. Non sono un cineasta fortunato, tanto meno un personaggio social. Giro solo i film che mi piacciono. Del resto non mi importa. Ciò detto, le mie pellicole piacciono anche dopo anni dalla loro uscita.
Nonostante il clima di chiusura del passato, oggi il cinema iraniano sembra aver trovato nuova linfa... Il cinema iraniano oggi è tra i migliori in circolazione, l’abbiamo plasmato e gli abbiamo conferito profondità. Del resto, le basi non ci mancavano. In Iran viviamo immersi nella cultura: abbiamo l’arte, la musica... non c’è da sorprendersi se siamo così grandi anche nel cinema.
Lei è nato in Iran, ma da molti anni vive negli Usa. Cosa la tiene ancora lontano da casa? Non ho problemi con la politica del mio Paese. Sono un uomo ambizioso. Voglio andare in posti diversi e conoscere culture diverse. La mia vita è un ponte tra culture. Per questo sono andato via dal mio piccolo paese in Iran (Abadan, ndr). Affrontare la sfida è la cosa che voglio fare e che ho sempre fatto.