Sofferenza come strada di fede
L’incontro è privato, privatissimo. Don Giuseppe Berardino, 47 anni, viceparroco, è malato di Sla, la Sclerosi laterale amiotrofica. Una patologia che, in pochi mesi, lo ha consumato. Francesco lo abbraccia, lo ringrazia, gli rivolge parole di conforto. È il momento più commovente della visita del Papa alla parrocchia di Santa Maria a Setteville di Guidonia, alle porte di Roma.
La storia di don Giuseppe è intessuta di dolore, di malattia, ma anche di solidarietà e amicizia che diventa assistenza fraterna. I parrocchiani e le infermiere della Cooperativa Osa che lo assistono, formano una rete di sostegno, in funzione ventiquattr’ore su ventiquattro. Il parroco parla di don Giuseppe come di un figlio. «È sempre stato – racconta – un uomo di preghiera e di carità, amato da tutti. Per confessarsi da lui, c’era la coda».
L’incontro con Francesco, lontano da occhi indiscreti, è intessuto di preghiera. Il mistero della sofferenza diventa occasione per volgere lo sguardo al Signore e affidarsi totalmente a Lui. «Sono il tuo vescovo», dice il Papa, che poi dona a don Giuseppe il conforto dell’unzione degli infermi.
«Quando abbiamo avuto la diagnosi – racconta don Gino – mi sono messo a pregare davanti al Santissimo Sacramento, giorno e notte, per la guarigione di don Giuseppe. Il Signore non mi ha ascoltato, ma rovistando fra gli effetti personali di don Giuseppe, ho trovato il santino della sua prima messa: l’immagine del giovane apostolo Giovanni che mette le mani sul cuore del Signore, quasi si getta su di lui. Allora mi sono detto: “Questo è il mio Giuseppe. Il Signore l’ha voluto fare suo completamente”».
Ed eccoli qui i frutti della fede di don Giuseppe. Papa Francesco li può toccare con mano. I ragazzi del post Cresima, che hanno incominciato il loro percorso, cinque anni fa, proprio con don Giuseppe, oggi sono giovani con tutti i problemi e i dubbi dei loro coetanei, ma non sono fuggiti. Per loro la Cresima non è stata il «sacramento dell’addio».
Da quando don Giuseppe si è ammalato, non c’è stato un solo giorno senza un sintomo di peggioramento. La capacità respiratoria è diminuita drammaticamente. «Con lui – spiega il parroco – ci si capiva con un battito di ciglia». Così è stato anche con Papa Francesco. Un battito di ciglia, uno sguardo, un sorriso, un tocco lieve. Nessuna parola, se non la preghiera silenziosa.
Don Giuseppe è tornato alla casa del Padre in una sera di gennaio, all’ora dei vespri. Dieci giorni dopo l’incontro con Francesco.