Come sugli alberi le foglie
Oltre 37 milioni di soldati caduti in battaglia e una guerra, la Prima guerra mondiale, definita da papa Benedetto XV «inutile strage». Quante volte di fronte a tragedie di tale portata ci siamo chiesti: come è stato possibile? Il romanzo «Come sugli alberi le foglie» di Gianni Biondillo, – titolo che già di per sé allude a un altro grande testimone di quel periodo, il poeta Giuseppe Ungaretti – risponde alla domanda rincorrendo le illusioni, i dubbi, la ricerca di senso dei personaggi che hanno vissuto quei fatti. Lo fa da una prospettiva del tutto particolare, addirittura opposta rispetto a come normalmente si racconta questa guerra. Il punto di vista è quello degli artisti del Futurismo, interventisti della prima ora, esteti della guerra, vista come pulizia del mondo, espressione di dinamismo, forza virile e primordiale.
Ci sono tutti i futuristi studiati nei libri di scuola, da Filippo Tommaso Marinetti a Umberto Boccioni, da Carlo Carrà a Mario Sironi, da Luigi Russolo a Carlo Erba, da Anselmo Bucci a Ugo Piatti, ma il protagonista è Antonio Sant’Elia, un architetto di grande talento, morto sul Carso a soli 28 anni. Di lui ci restano solo alcuni stupefacenti disegni. Opere che hanno influenzato e tuttora influenzano l’architettura mondiale, per la loro carica d’innovazione e la capacità d’interpretare il futuro delle città. Metropolis (1927), il celebre film di Fritz Lang, chiaramente si ispira a quei disegni.
Il romanzo, che ha alle spalle approfonditi studi storici, riesce a rendere il clima dell’epoca. Nelle pagine del libro appaiono disseminate, quasi come cammei, apparizioni di tutti i protagonisti di quegli anni da Salgari a Stravinskij, da Mussolini a Cadorna, da Gadda a D’annunzio, da Mata Hari a Robert Musil, da Eleonora Duse a Maria Montessori, da Cesare Battisti agli intellettuali de La Voce. Per certi versi è una forzatura letteraria, a volte un po’ posticcia, ma serve a dare un quadro d’insieme, a capire le contraddizioni, a sottolineare quanto la guerra oltre a distruggere le vite di tutti, sprechi e uccida l’intelligenzia di un Paese con un’indifferenza sconvolgente.
Originali i pezzi in cui l’autore racconta le prime gesta del Battaglione Volontari Ciclisti Automobilisti, in cui si sono arruolati, Marinetti in testa, i futuristi. Il linguaggio è pieno di onomatopee, slegato, veloce, meccanico, il tipico linguaggio futurista, come se a scrivere fosse uno di loro. L’effetto è esilarante: ciò che passava per audacia diventa una caricatura. Uno schiaffo alla retorica guerriera senza sparare neppure un colpo.
Biondillo ha il pregio di raccontare questa guerra anche, e forse soprattutto, attraverso i caratteri e i sentimenti dei personaggi: esaltazione, perplessità, codardia, tracotanza, fedeltà, tenerezza, nostalgia, paura, orrore, disillusione, senso dell’assurdo, e persino pietà per il nemico. Il racconto diventa pagina dopo pagina sempre più corale. Sant’Elia è la lente, è l’occhio critico eppure generoso, è quell’Italia talentuosa e sprecata, che ha dato frutto nonostante il sangue. Perché la passione per l’arte e per l’umanità alla fine è più grande, più eroica e mille volte più sensata della «bella morte» della retorica dannunziana.