Il testo narra quindici storie di migrazione del passato: pur essendo diverse nella forma rispetto all’oggi, l’autore rileva delle somiglianze, soprattutto nelle motivazioni. Si tratta di migrazioni forzate (per motivi politici o cause naturali), organizzate (come nel caso delle filles du roi in Canada) o libere (individuali o di piccoli gruppi). Un tema attuale, che rimanda al necessario impegno, da parte della comunità internazionale, rispetto al fenomeno migratorio.
A chi non piace ascoltare storie? Che cosa sono in fondo i romanzi, i film o le opere teatrali o liriche, le canzoni, se non dei racconti più o meno lunghi? Lo dice anche una delle regole non scritte del giornalismo: per attrarre un lettore, è buona cosa cominciare il testo raccontando una storia vera. Ma che cos’è che ci fa amare così tanto i racconti? Lo ha spiegato bene papa Francesco nel suo Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali del 2020 («Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria» (Es 10,2).
«Lo spazio è prima di tutto ispirazione: il suo richiamo attira le menti più brillanti del pianeta e le fa confrontare con le sfide scientifiche e umane più impegnative e complesse mai tentate prima». Il primo libro di Tommaso Ghidini, capo della divisione di Strutture, Meccanismi e Materiali dell’Agenzia spaziale europea, ci offre un assaggio di quanto l’uomo ha compiuto nel campo delle imprese spaziali.
Jacob, padre di una famiglia coreana immigrata da tempo negli Stati Uniti, vuole realizzare il suo sogno di avere una fattoria nelle campagne dell’Arkansas, ove si trasferisce con la moglie e i figli. L’arrivo della nonna (magistrale l’interpretazione di Youn Yuh-Jung) porta un elemento che destabilizza ma insaporisce la situazione, un po’ come il minari, erba piccante coreana. In fondo, è una storia famigliare già raccontata molte volte, in cui però si preferisce affrontare il conflitto con uno sguardo più profondo piuttosto che alzare la voce.
Occorre saper «vedere» Roma per poterla amare. Per capire cosa sia davvero la «Città Eterna», al di là dei luoghi comuni. Dove passato e presente trovano il loro punto di partenza e di arrivo.
Il nome di Johann Peter Hebel, svizzero di Basilea, morto nel 1826, appartenente convinto alla Chiesa luterana, sebbene altrettanto convinto che si potesse andare d’accordo con chiunque, prolifico scrittore con interessi catechistici o, diremmo oggi, pastorali, probabilmente non ci dice granché.