Ogni due giorni, in Italia, una donna viene uccisa, quasi sempre dal partner, o da un ex. Molte altre subiscono violenza, spesso tra le mura domestiche. La parola «femminicidio» è diventata tristemente comune. È una realtà impressionante, ma che cosa possiamo trarne?
Il Mediterraneo sembra fermarsi di fronte alle coste turche, le sue maree si ritirano spaventate. Che ne è stato della Istanbul che ricordo? Mi sorprendo a pensare con nostalgia a un gruppetto di ragazzine velate sul traghetto del Bosforo.
«C’è bisogno di un senso più profondo di responsabilità. Il carcere deve poter essere il luogo dove riflettere su se stessi, dove ritrovare la voglia di esistere e darsi delle regole. Chi è recluso è una persona. Chi garantisce la sicurezza deve sentirsi persona tra le persone. Luogo di detenzione e luogo di lavoro, il carcere non può essere inteso solo in chiave coercitiva».