A cento anni esatti dalla morte, riscopriamo la grandezza di Giacomo Puccini, il compositore lirico più eseguito al mondo. E tra i più amati, nonostante a lungo sia stato – ingiustamente – snobbato da una certa critica musicale.
«Freude, schöner Götterfunken». Nell’Ode di Schiller alla «Gioia, bella scintilla divina», Ludwig Van Beethoven leggeva l’aspirazione alla libertà e a un mondo in cui «Alle Menschen werden Brüder», tutti gli uomini diventano fratelli. Scelse proprio quei versi per suggellare gloriosamente la sua Nona Sinfonia che ha compiuto 200 anni il mese scorso (venne eseguita a Vienna il 7 maggio 1824).
Oggi comunichiamo tantissimo, ma in realtà parliamo sempre meno. E questo sta mettendo a serio repentaglio l’antica arte del conversare. Perché la conversazione è fisicità, corporeità. È vita.
Era il Venerdì Santo del 1724, proprio tre secoli fa, quando Bach a Lipsia diresse la prima esecuzione della sua Passione secondo Giovanni, una composizione di straordinaria potenza in cui la sofferenza di Cristo e l’afflato di redenzione diventano un affresco musicale e visivo.
La cifra della nostra epoca tecnologica è la velocità, ma il nostro cervello ha bisogno di tempi lenti. Non solo per pensare e per riflettere, ma per ricordare, rielaborare e cogliere le sfumature della vita.
Eppure il lillà tornava a fiorire, il cielo era blu e i merli cantavano. «La bellezza resta immortale. L’amore resta immortale anche se, per i nostri occhi malati, tutto è avvolto da un velo nero», annotava nel suo diario Carla Simons, scrittrice e traduttrice di origine ebraica. Era il maggio 1942 e nella città di Amsterdam occupata la persecuzione nazista verso gli ebrei si faceva sempre più forte e dolorosa. Dalla sua casa nel Rivierenbuurt, il «quartiere dei fiumi», Carla vedeva e viveva l’angoscia, i tempi scuri, il dramma dei cartelli «Vietato agli ebrei».