Cinismo, malattia dell’umano
«Se tutti pensano soltanto a fare i propri interessi, perché non dovrei farlo anch’io?». Il cinico la vede esattamente così. Non si pone troppi problemi, non si fa scrupoli, non si lascia fermare da una delusione: gli basta soltanto andare avanti e inseguire il proprio tornaconto, a qualsiasi costo. Bontà? Giustizia? Equità? Rispetto degli altri? Per lui sono soltanto parole, pie illusioni. In questa società frammentata, dove il senso di comunità talora si sbriciola, il cinismo è diventato (purtroppo) una chiave dei comportamenti, quasi un modello, un riferimento e a volte una corazza da indossare. «Il cinico – annotava già Oscar Wilde – è un uomo che conosce il prezzo di tutto e il valore di nulla», perché nulla ha valore se non il raggiungimento dei propri benefici, anche calpestando tutti gli altri.
«Nel linguaggio moderno – ha osservato già alcuni anni fa il filosofo Mario Perniola, scomparso nel 2018 –, il termine “cinismo” è diventato sinonimo di insensibilità, di rassegnazione, di connivenza con l’insensatezza, di perenne disponibilità a farsi complice di qualunque cosa a qualunque prezzo». E quindi «il cinismo è chiaramente uno dei volti dell’individualismo di oggi. Recenti studi ci indicano che è in aumento anche nei giovani», fa notare la professoressa Laura Nota, docente al Dipartimento di filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata dell’Università di Padova, esperta nei temi dell’inclusione e del disagio sociale. Spregiudicatezza, assenza di remore morali, utilizzo libero dell’inganno e della manipolazione sono caratteristiche peculiari del cinismo moderno. Alcune ricerche hanno evidenziato come molte persone ritengano addirittura che un atteggiamento cinico sia collegato a una superiorità intellettuale (chi è cinico è spesso considerato come un furbo, e l’astuzia richiede acume e intelligenza), e si convincono così a seguire la stessa strada.
Cinismo di ieri e di oggi
«Cinismo» è termine antico che affonda le radici già nella filosofia greca e nel pensiero di Diogene. Ma a quel tempo, quattro secoli prima di Cristo, il cinismo era tutt’altra cosa, praticamente il contrario di come lo vediamo oggi. Diogene – raccontano le storie – lasciò tutto per vivere con semplicità e preferì abitare in una botte di legno: era «un uomo senza città, senza tetto, mendico, errante, alla ricerca quotidiana di un tozzo di pane». La sua era una forma di autodifesa «naturale» verso gli strali della vita: eliminare tutto il superfluo e poter fare a meno di tutto permetteva di prendere distacco dal mondo esterno e di mantenere il controllo su se stessi. «Secondo un’etimologia non priva di ironia, kynikós deriva da kúôn, che in greco vuol dire “cane” – ha ricordato Mario Perniola –. Diogene si definiva appunto un cane “di quelli universalmente lodati” ma aggiungeva: “Nessuno di coloro che lo lodavano osava uscire con lui a caccia”...».
Il cinico antico voleva affermare la dignità suprema della persona, del pensiero, della filosofia, mentre «il neocinismo sembra esprimere soltanto la rassegnazione, la frustrazione e l’avvilimento morale». Già nel 1983 il filosofo e sociologo Peter Sloterdijk ha dato una lettura quasi profetica di questo fenomeno nella sua Critica della ragion cinica, edita da Garzanti, parlando del cinismo contemporaneo come di una «falsa coscienza illuminata» che può apparire quasi un paradosso, ma nei fatti non lo è: il cinico di oggi è un uomo che non si fa alcuna illusione e in questo disincanto trova il «carburante» per andare avanti, «è pronto a cogliere le occasioni al volo, sotto qualsiasi aspetto», ha scritto Perniola. E ancor più oggi – ha aggiunto Sloterdijk in una lezione al FestivalFilosofia di Modena del 2018 – siamo tutti «in marcia verso una condizione cinico-globale». Il punto di arrivo del cinico del nuovo millennio – ha sottolineato anche il filosofo Klaus Heinrich – «non è la botte di Diogene, bensì un’ordinata carriera».
Il cinismo assume tanti volti e non sempre è facile individuarlo e riconoscerlo, «perché, almeno all’inizio, non sono sempre chiare le intenzioni delle persone», dice la professoressa Nota. C’è il cinico che adotta forme di manipolazione a svantaggio degli altri che vengono così isolati o sfruttati, «e c’è anche una forma di cinismo che si alimenta di aggressività sociale – aggiunge la docente –. Si svalutano gli altri, si parla male di loro, si distrugge la loro immagine pubblica, li si trasforma in nemici, tutto per ridurre le loro difese e quindi riuscire ad avanzare più facilmente nei propri interessi». Esiste poi il cinismo del potere e di coloro che si servono delle loro posizioni in maniera ben più che disinvolta: magari sono in possesso di informazioni che potrebbero condividere ma le utilizzano soltanto a proprio vantaggio, oppure si accaniscono su soggetti più deboli che potrebbero essere loro concorrenti. «Per alcuni il cinismo significa salvaguardia di sé e anche della propria identità, che poi spesso vuol dire salvaguardare i propri averi e poteri», prosegue Laura Nota.
Cinici in famiglia
Si è portati a pensare che il cinismo sia una condizione soprattutto degli adulti, di coloro che la vita ha forgiato e talvolta bastonato, e hanno la pelle indurita dai colpi ricevuti. Ma si può essere cinici già da ragazzi, perché cinici non si nasce, ma si diventa. «Cinismo e aggressività si imparano, e purtroppo cinismo chiama cinismo – sottolinea la docente dell’università patavina –. Se il cinismo viene sdoganato nei rapporti sociali e lo si ritiene accettabile e percorribile, avviene facilmente un travaso verso le giovani generazioni che vedono i familiari comportarsi in modo cinico e quindi ne assumono i caratteri. E il cinismo continua a perpetrarsi e a radicarsi. Individualismo e competizione sono compagni di viaggio formidabili».
Da un interessante studio condotto da Olga Stavrova dell’Università di Tilburg, Daniel Ehlebracht dell’Ateneo di Colonia e Kathleen D. Vohs della University of Minnesota su persone di 29 Paesi, è emerso un dato fondamentale: il cinismo e la mancanza di rispetto sono direttamente proporzionali, come in un circolo vizioso. Chi è stato oggetto di angherie o forme di sopraffazione, a sua volta tenderà ad adottare un atteggiamento cinico verso gli altri. «Il cinismo si alimenta con la guerra ma a sua volta ciba i conflitti e le relazioni malsane – ha scritto la professoressa Nota in un intervento per il “Messaggero di sant’Antonio” –. Ma il cinismo stesso, anche per chi lo attua, si associa via via a peggiori condizioni di salute, a prestazioni di minore qualità, a una vita sociale incapace di infondere benessere. Agire in questo modo, dunque, non è una manifestazione di intelligenza bensì denota una mancanza di visione e di ragionamento sociale».
Sono soltanto problemi di oggi? Ecco cosa scriveva Giacomo Leopardi esattamente due secoli fa, nel 1824, nel suo Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani che è stato pubblicato per la prima volta solo nel 1906: “La disposizione più ragionevole e più naturale che possa contrarre un uomo disingannato e ben istruito della realtà delle cose e degli uomini è quella di un pieno e continuo cinismo d’animo, di pensiero, di carattere, di costumi, d’opinione, di parole e d’azioni. […] Le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni. Il popolaccio italiano è il più cinico de’ popolacci”. Certo, lo sguardo di Leopardi è sempre stato pessimista, ma la sua lettura delle cose del mondo non era poi molto distante dalle analisi dei sociologi di oggi.
Secondo un’indagine svolta nei mesi scorsi dall’EngageMinds Hub, centro di ricerca in psicologia dei consumi e della salute dell’Università Cattolica, il dato sulla coscienza civica degli italiani risulta in calo: nel 2023 poco più di 6 italiani su 10 si sono detti consci della loro responsabilità nella società (erano il 66% un anno prima), e allo stesso modo è sceso anche il numero di quanti vogliono informarsi sul proprio ruolo nella collettività (54% nel 2023 contro il 59% dell’ottobre 2022). «I nuovi dati ci restituiscono il profilo di una società più critica, disamorata, fatalista nella gestione della salute e dello stile di vita e tendenzialmente più cinica rispetto alle tematiche sociali», ha commentato Guendalina Graffigna, direttrice dell’EngageMinds Hub. E, già qualche anno fa, alcuni sondaggi commentati dal sociologo e politologo Ilvo Diamanti su «Repubblica» avevano tracciato l’immagine di un’Italia dove quasi tutti sospettano del vicino e «pensano che gli altri, se non fai attenzione, ti fregano – scriveva Diamanti –, che non ci siano innocenti, buoni e giusti, e che chiunque, se possibile, faccia i propri interessi». Non a caso già nel 2006 un terzo degli italiani riteneva «giustificabile e perfino giusto evadere le tasse». È cambiato qualcosa? A occhio e croce, sembra di no.
«Chiuso il secolo dell’ateismo, si è aperto in Occidente quello del cinismo. Un avversario forse meno provocatorio ma più subdolo». Lo affermava già più di vent’anni fa il cardinale Camillo Ruini. E da questa frase aveva preso spunto monsignor Gianfranco Ravasi, oggi cardinale, per un intervento su «Avvenire»: «L’ateismo conclamato è certamente meno pericoloso, perché mette in guardia il cristiano in modo quasi automatico. Il cinismo, invece, è più “diabolico” perché si ammanta di buonsenso, concretezza, praticità, pragmatismo e lentamente strangola i valori, la moralità, la coscienza, chiudendoci nel mero interesse, nel materialismo, nell’egoismo, spegnendo lo Spirito che è in noi». Oggi, poi, i social amplificano ancor più gli atteggiamenti aggressivi, la disinformazione e anche l’isolamento delle persone e, inevitabilmente, tendono a enfatizzare il pensiero cinico. Inganno, fake news diffuse ad arte, superficialità di giudizio sono tutti strumenti del cinismo di oggi: «L’impostura è il nuovo spirito del mondo», ha commentato amaramente Peter Sloterdijk nella sua lezione modenese.
Contro questo dilagare del cinismo, quali antidoti possono essere messi in campo? «Abbiamo bisogno di ricostruire comunità e di recuperare una visione inclusiva che sia anche condivisione, partecipazione, ascolto delle voci e riconoscimento del valore dell’altro – spiega la professoressa Nota –. Uno degli antidoti più forti è costruire percorsi educativi, già a partire dalla scuola primaria. Perché ci si comporta o in modo cinico o in modo solidale, e un atteggiamento esclude l’altro, non possono stare insieme». È utile introdurre anche una visione più attenta e problematica sul potere e sulla ricchezza che in una società edonista sono visti spesso come obiettivi assoluti. Non è certo una sfida semplice, ma di certo non possiamo rassegnarci e – come scriveva già Ilvo Diamanti – dal senso cinico dobbiamo tornare a un senso civico. Anche perché – ce lo ha ricordato più volte papa Francesco – nessuno si salva da solo.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!