La prima volta che sentii parlare di monsignor Enrique Angelelli fu da un frate del Santo a lungo missionario in America Latina. Qui (oltre a essere stato padre spirituale di fra Carlos de Dios Murias) aveva conosciuto il vescovo di La Rioja, e me ne parlò come di un vero uomo di Dio, un sacerdote coraggioso sempre accanto al suo popolo. Fra Carlos de Dios Murias e monsignor Enrique Angelelli sono stati beatificati insieme il 27 aprile 2019, perché entrambi vennero assassinati nel 1976, a poche settimane di distanza, esattamente a causa del loro impegno per i poveri e gli oppressi.
Qual è il modo più efficace di raccontare la vita di una persona? Celebrarne le gesta o scavare nel suo vissuto quotidiano? Il giornalista spagnolo Fernando de Haro ha scelto di esplorare il lato umano più profondo di don Luigi Giussani, fondatore del movimento di Comunione e Liberazione, nel libro Perché sono un uomo - Scene dalla vita di don Giussani, riannodando i fili delle proficue relazioni del sacerdote, degli incontri con alcuni protagonisti del Novecento, dei momenti fugaci, a volte lontano dai riflettori della storia.
L’esperienza di un uomo, un giornalista, poi entrato in politica fino al ruolo di presidente del parlamento europeo, raccontata attraverso i suoi discorsi e gesti, e dando la parola a chi l’ha conosciuto, ha collaborato con lui o ha goduto della sua amicizia. Imparziale, tenace, amabile, Sassoli ha coniugato valori radicati nella storia con la promozione concreta del bene comune, nel sogno di un’Europa dalla parte dei cittadini, specialmente di chi non ha voce, e aperta al mondo.
Il libro presenta la vicenda di Etty Hillesum e del suo percorso interiore che, nell’oscurità dell’occupazione nazista, la porta a incontrare Dio. «Mi riconosco nel tuo conoscerti»: è questa l’esperienza dell’autrice, che riscopre se stessa attraverso gli occhi di Etty, trovando nuove chiavi di lettura anche per il suo lavoro di sceneggiatrice. Un invito alla lettura degli scritti di una delle più straordinarie donne del Novecento, capace di far spazio in sé all’umanità ferita dalla Shoah.