Abitiamo il mondo
Nel 1951 il filosofo Martin Heidegger aveva tenuto una conferenza dal titolo «Costruire abitare pensare» che è ancor oggi uno spunto prezioso per pensare al nostro modo di stare al mondo. La città è «costruita». Viviamo immersi nel fabbricare, nelle opere che parlano dell’ingegno umano e della potenza della tecnica. Una «bolla» dove si vede solo l’uomo e i suoi artefatti.
Costruire è condizione strumentale dell’abitare, che però ha un senso molto più ampio. Un senso antropologico che ha a che fare anche con ciò che strumentale non è: la memoria, le relazioni, i significati iscritti nell’organizzazione degli spazi.
Solo l’essere umano abita: non solo occupando uno spazio ma dandogli senso, legandolo a una storia e a un progetto. In quanto corporei, «costruiamo» per proteggerci e svolgere le nostre attività. Ma in quanto siamo relazione, simbolo, pensiero, speranza, «abitiamo».
Il senso fondamentale dell’abitare è l’avere cura. Lo stesso Verbo una volta fattosi carne è «venuto ad abitare» in mezzo a noi. Abitare tesse un’alleanza tra protezione e apertura, tra intimità e convivialità, tra interiorità ed esteriorità. Il luogo abitato è irriducibile alla sua funzionalità, è custode della memoria e della durata, teatro della poesia del quotidiano.
La città, la casa, la casa comune che è il mondo intero vanno «abitate». Tenendo conto che, come ha scritto Hannah Arendt, «non l’Uomo ma gli uomini abitano questo pianeta. La pluralità è la legge della terra». Dimorare, in comune, nella speranza è il compito che ci è affidato. Possiamo esserne all’altezza.