30 Dicembre 2021

Addio Londra

La Brexit e il Coronavirus hanno generato un’onda di ritorno di italiani dal Regno Unito. Lo rivela il secondo Rapporto curato dal Comites di Londra e dall’Associazione Manifesto di Londra.
I membri uscenti del Comites di Londra, l’organismo che rappresenta gli italiani residenti a Londra, nel Sud dell’Inghilterra e nel Galles.
I membri uscenti del Comites di Londra, l’organismo che rappresenta gli italiani residenti a Londra, nel Sud dell’Inghilterra e nel Galles.

Il quadro che emerge dal secondo Rapporto sull’impatto del Covid-19 e della Brexit sulla comunità italiana in Gran Bretagna, curato dal Comites di Londra – che rappresenta gli italiani residenti in città, nel Sud dell’Inghilterra e nel Galles – in sinergia con l’Associazione Manifesto di Londra, è sconfortante. Se fino a pochi anni fa, il Regno Unito era in cima ai sogni dei giovani italiani per le opportunità di studio e di lavoro, oggi quel mito sembra crollato sotto i colpi di una quotidianità cruda e ostile a cui molti hanno deciso di rinunciare.

I dati dell’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, ci dicono che sono 460 mila gli italiani residenti in Gran Bretagna, ma le presenze reali potrebbero arrivare a 700 mila. In questo caso la comunità italiana sarebbe la terza più consistente dopo quella polacca e quella rumena. Il micidiale cocktail di Covid-19 e Brexit ha generato, non solo nella comunità italiana, uno stato d’ansia e di sfiducia senza precedenti in relazione alla risposta politica e sanitaria del governo britannico.

Il Rapporto, basato su un questionario compilato da un campione significativo di italiani oltremanica, rileva che «le conseguenze dei due eventi sono state percepite più intensamente da chi appartiene a categorie già considerate svantaggiate, come donne, giovani, lavoratori di settori a rischio (ristorazione, alberghi, manifatturiero), e chi ha meno titoli di studio». Molti italiani nel Regno Unito, in possesso o meno del Settled Status ovvero dei requisiti necessari per rimanere qui, hanno considerato l’opzione – o hanno già scelto – di tornare in Italia.

Il Rapporto evidenzia che «il 5,7 per cento degli intervistati si è trasferito in Italia, mentre l’1,7 per cento si è spostato in un altro Paese». A questi dati va a sommarsi un 6 per cento di persone che stanno pianificando di rientrare in Italia, un 16 per cento di indecisi rispetto al loro futuro, e un 21 per cento che vorrebbe rientrare in Italia, ma non crede che sussistano le condizioni per farlo. 

L’incubo dell’espulsione

«Negli ultimi tre anni, il Comites ha offerto assistenza ai cittadini italiani alle prese con la Brexit – ci informa Andrea Pisauro, consigliere del Comites e responsabile del Rapporto –. Gli italiani che hanno fatto domanda per ottenere il Settled o Pre-Settled Status entro il 30 giugno scorso, hanno il diritto di rimanere a vivere in Gran Bretagna. Chi non avesse ancora fatto domanda od ottenuto risposta, è invitato a contattare quanto prima associazioni come “The3million” o “Settled” per vedere riconosciuto il proprio diritto a continuare a vivere qui; diritto che era una delle principali richieste dell’Unione europea durante i negoziati per la Brexit».

Ad apparire a rischio sono molte categorie di lavoratori, in particolare giovani precari con contratti intermittenti, e persone che hanno svolto lavoro non remunerato di cura per familiari o amici, e hanno avuto difficoltà ad ottenere il Settled Status, in quanto incapaci di dimostrare una residenza continuativa per cinque anni. «Queste persone – sottolinea Pisauro – rischiano di non riuscire a convertire il Pre-Settled in Settled (possibilità che si presenta allo scoccare di cinque anni di residenza continuativa) se, ad esempio, sono tornate in Italia durante la pandemia per oltre un anno, o qualora non abbiano fatto domanda per il Pre-Settled o l’abbiano vista rigettata». Con la prospettiva dell’espulsione.

Inoltre, tutte le categorie di lavoratori con redditi bassi sono tagliate fuori dalle nuove regole sull’immigrazione post-Brexit che «permettono di ottenere un visto per trasferirsi in Gran Bretagna solo a chi ha un salario superiore alle 25.600 sterline e un’offerta di lavoro – ricorda Pisauro –. Queste regole colpiscono tanti lavoratori free-lance, artisti, musicisti alla ricerca di lavoro, e tante ragazze e ragazzi partiti per Londra in cerca di fortuna». Gli effetti della Brexit si sono già visti negli ultimi mesi nel settore dei trasporti, della logistica, dell’industria alimentare e della ristorazione, con la carenza di camionisti, di lavoratori specializzati, di camerieri, e poi con gli scontri fisici alle stazioni di rifornimento per la penuria di carburanti.

Una situazione in cui il Covid-19 ha fatto la differenza, in peggio. Soprattutto all’inizio della pandemia quando «la gestione del governo Johnson è apparsa assolutamente irresponsabile – osserva Pisauro –. Oltre 40 mila italiani, quasi il 10 per cento della comunità, sono tornati in Italia durante il primo lockdown, e il nostro primo Rapporto, nel dicembre 2020, aveva rivelato un profondo senso di sconforto e di incredulità tra gli italiani per il fallimento sistemico del governo britannico. Le cose sono migliorate nella prima parte di quest’anno, anche se la Gran Bretagna rimane uno dei Paesi più colpiti dalla pandemia».

La Brexit ha avuto un effetto immediato anche sul portafoglio degli studenti. «C’è stato l’aumento delle tasse universitarie perché ora i cittadini europei sono equiparati a quelli del resto del mondo. La fine del programma “Erasmus” elimina un’ulteriore possibilità di studiare in Gran Bretagna. Inoltre serve un visto concesso in presenza di un’offerta presso un’università o una scuola, un’appropriata conoscenza dell’inglese, e la capacità di provare di potersi sostenere durante gli studi». 

L’incognita scozzese

L’umore dei britannici è cambiato, forse tardivamente. «È probabile che se ci fosse un nuovo referendum domani, vincerebbero gli europeisti – commenta Pisauro –. Anche tra l’elettorato che ha votato per la Brexit ci sono molte sacche di malcontento. Penso ai pescatori a cui era stato promesso di vedere aumentate le proprie quote di pesca a scapito degli altri pescatori europei, in particolare francesi, e che invece sono rimasti delusi dagli accordi. In molti settori legati all’import-export ci sono stati problemi con una significativa diminuzione del commercio con i Paesi Ue.

C’è malcontento anche nell’Irlanda del Nord dove i nazionalisti irlandesi alzano la voce contro la Brexit, e gli unionisti denunciano il protocollo sull’Irlanda del Nord». Resta aperta la questione della Scozia dove vivono e lavorano molti italiani. «Un significativo aumento al sostegno dell’indipendenza scozzese arriva dagli effetti negativi della Brexit che hanno ridotto del 14 per cento, in un anno, il commercio con la Ue. Personalmente – conclude Pisauro – credo che l’indipendenza della Scozia sia una questione di tempo, e che vada incoraggiata affinché rimanga ancorata a un percorso democratico e consensuale».

 

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Data di aggiornamento: 30 Dicembre 2021
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