Ambiente, lavoro, futuro
Taranto è la città italiana forse più iconica della contrapposizione tra tutela ambientale e difesa del lavoro (basti pensare all'annosa questione dell’Ilva…). Per questo è stata scelta come sede della 49esima edizione delle Settimane sociali dei cattolici italiani, che si tiene dal 21 al 24 ottobre sul tema: «Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso». Abbiamo chiesto al professor Giuseppe Notarstefano, dal maggio scorso presidente nazionale dell’Azione Cattolica e membro del Comitato preparatore delle Settimane sociali, di aiutarci a entrare nel cuore di queste giornate.
Msa. Professore, qual è il senso delle Settimane sociali?
Notarstefano. Le Settimane sociali, che sono nate all’inizio del secolo scorso grazie soprattutto all’opera del beato Giuseppe Toniolo (economista, sociologo, impegnato nel movimento cattolico, ispiratore della prima grande enciclica sociale della storia, la Rerum Novarum), hanno da sempre lo scopo di elaborare, nella contingenza del periodo storico e delle condizioni politiche, proposte ispirate dal magistero sociale della Chiesa, volte alla realizzazione di una civiltà del lavoro a misura d’uomo. Rappresentano un’occasione privilegiata non solo per i cattolici, ma per tutti coloro che hanno a cuore il bene comune – in una alleanza ispirata dal magistero sociale della Chiesa –, per avanzare proposte concrete di intervento sulle politiche pubbliche, riappropriandosi della capacità di intervenire nel contesto storico.
Faro delle giornate tarantine è l’enciclica Laudato si’, nella quale il Papa ci ricorda come non ci siano «due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale», la cui soluzione richiede un approccio integrale «per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura».
La Laudato si’ è al centro delle nostre giornate, come lo era stata già nella precedente edizione delle Settimane di Cagliari. Per l’appuntamento di Taranto abbiamo però potuto contare anche sulla spinta della Fratelli tutti, un’altra straordinaria enciclica di azione sociale e politica che il Papa ci ha donato. Da entrambi i documenti traiamo una consapevolezza: l’approccio alla realtà deve essere complesso, non possiamo piegarci a quel riduttivismo tipico di un certo approccio specialistico che porta ad affrontare i singoli problemi secondo le diverse categorie e gli strumenti tipici delle varie scienze. È necessario, quindi, recuperare una visione d’insieme della nostra realtà, e abbiamo voluto sintetizzare questo concetto sin dal titolo, in quel #tuttoèconnesso, cioè tutto è in relazione, che non ci dice solo la necessità di recuperare uno sguardo globale sulla realtà, ma anche che non esiste una soluzione semplice per problemi complessi e che qualsiasi soluzione deve essere costruita insieme. Il tema del rapporto economia/ambiente, al centro delle giornate di Taranto, è esemplare in tal senso, uno di quelli che gli economisti definirebbero di trade-off cioè di alternativa: meglio lo sviluppo e l’occupazione, e quindi la possibilità di vita per le persone, o la tutela dell’ambiente? L’errore finora è stato voler esasperare questa contrapposizione che in realtà non ha più senso di esistere. Le tecnologie che oggi abbiamo a disposizione, infatti, ci permettono di recuperare una dimensione produttiva basata su forme tecnologiche sostenibili, che tutela al contempo occupazione e ambiente. Bisogna però avere la volontà di non mettere più al primo posto il profitto, bensì il benessere di tutti gli stakeholder, cioè di tutti i portatori di interesse di una realtà produttiva (chi mette il capitale, chi ci lavora, ma anche il territorio in cui l’azienda opera con i suoi abitanti). Nella Settimana di Taranto vogliamo indicare delle buone pratiche realizzate da chi già opera in questo modo, che ci dimostrano che la via della conciliazione tra tutela ambientale e occupazione è possibile. Non solo. Vogliamo anche suggerire alla politica e all’economia una strada in tale direzione, a partire sin dal PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza), che ci auguriamo metta in campo investimenti pubblici capaci di promuovere un reale cambiamento in tale direzione.
Quanto ha inciso la pandemia in questa 49esima edizione?
Molto e non solo perché abbiamo dovuto rimandarla rispetto alla data originaria, ma anche per le modalità organizzative con cui si è svolta tutta la fase preparatoria. Però la pandemia ci ha anche mostrato che il tema che avevamo deciso di mettere al centro dei lavori è davvero urgente. In tal senso, quindi, ci ha dato una spinta per procedere con maggiore decisione rispetto ad alcune prospettive e a sentieri già intrapresi. E ci ha fatto capire una volta di più che il cambiamento generale dipende dai cambiamenti individuali, perché c’è una responsabilità comune che inizia dalla responsabilità delle singole persone. La sfida, come ci ha mostrato il covid, è culturale, educativa e direi persino spirituale al contempo. Basti pensare a quanto sta accadendo in questi giorni con il tema dei vaccini e del green pass, che pone in realtà un’importante questione di fondo: fino a dove arriva la mia libertà individuale? È un tema davvero interessante, che potrebbe favorire una maturazione del Paese e una crescita di tutti noi, sia di chi vede il primato dell’individuo sulla comunità, sia di chi vede invece un approccio comunitario che spesso però, se esasperato, annulla la persona. Un dibattito fecondo tra queste posizioni ci potrebbe portare a una costruzione di regole non solo più condivise ma anche più capaci di individuare davvero il bene comune di tutti.Le Settimane sociali non sono un evento, ma un processo che ha nello stile sinodale la sua cifra caratteristica... Indubbiamente. Già dal percorso preparatorio si agisce in stile sinodale. Il desiderio che accompagna ogni Settimana è quello di camminare insieme, di partecipare ciascuno a misura della propria esperienza e competenza, attraverso un metodo che ci siamo dati, tratto dalla Laudato si’, che caratterizza non solo dal punto di vista tematico ma anche metodologico il nostro lavoro: abbiamo cercato di sviluppare uno sguardo contemplativo sulla realtà. Il mondo non è solo una serie di problemi, è soprattutto una realtà gioiosa da contemplare, dice il Papa, e a partire da questa contemplazione noi individuiamo non solo le sfide e le criticità, ma anche gli aspetti positivi, le buone pratiche, che ci ricordano che il bene è effettivamente all’opera. Veniamo alle «buone pratiche» presentate a Taranto. Qual è stato il criterio di scelta? La presentazione delle buone pratiche è diventata una prassi per le Settimane sociali, che ha una grande forza: vogliamo mostrare che c’è un Paese, l’Italia, che è ricchissimo, resiliente e capace di esprimere con positività un’innovazione sociale straordinaria. A Taranto presentiamo quelle iniziative non solo virtuose, ma che hanno dimostrato anche una resilienza, la capacità cioè di fare della recente crisi un’occasione di rilancio delle proprie iniziative. Un’altra novità di Taranto è che abbiamo censito non solo le buone pratiche del settore privato, ma anche quelle del pubblico, per esempio quelle di una serie di comuni virtuosi nella raccolta e gestione dei rifiuti. E poi ci siamo concentrati sugli stili di vita, perché la transizione ecologica non sarà mai tale se non sarà preceduta da una conversione ecologica che riguarda gli stili di vita delle persone. Potremo organizzare tutte le raccolte differenziate che vogliamo, ma se poi le persone non le fanno, non serve a nulla. Dobbiamo cominciare dalle nostre case, riflettendo sui nostri sprechi, sul nostro rapporto coi beni. La questione degli stili di vita è fondamentale. A Taranto quindi portiamo anche una mappatura di buone pratiche individuali che toccano i comportamenti dei singoli oltre che dei gruppi. Ma in un mondo che sembra remare contro, in cui le disuguaglianze crescono, in cui la Terra continua a essere oggetto di sfruttamento, è davvero possibile un’inversione di tendenza che ci veda tutti impegnati?Alle volte ci sentiamo un po’ come dei don Chisciotte che combattono contro i mulini a vento. Potremmo cominciare, allora, col sostituire questa immagine demoralizzante con un’immagine biblica molto più pregnante, quella del giovane Davide che sconfigge Golia con una fionda. Siamo tutti oggi dei Davide, piccoli rispetto all’enorme sfida del cambiamento climatico, del disastro ecologico, però abbiamo tutti dei semplici strumenti, delle «fionde», che, messi insieme, possono creare le premesse per una vittoria, almeno nel lungo termine.
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