Cambiamento, fiore che profuma di perdono
«Chiedo perdono per il dolore che ho imposto con i miei comportamenti irresponsabili». A parlare, con voce spezzata, è un giovane padre di famiglia, buon lavoratore, persona onesta, ma da troppo tempo schiavo della «polvere bianca», la triste compagna di evasioni di tanti che non diresti.
Tutto poi, all’improvviso, è venuto giù come un castello di carte: il lavoro, i rapporti, la fiducia, la pace familiare, la voglia stessa di vivere. Tutto in pezzi. Si può ricostruire su tali macerie? Questo pomeriggio ci troviamo in uno degli affollati incontri settimanali di famiglie della Comunità San Francesco, uno spazio di sofferta condivisione di molto dolore, ma anche cantiere di futuri diversi.
È una data speciale: alcune famiglie salutano il gruppo, dopo vari mesi di lavoro insieme, perché incamminate verso altre fasi. Tra gli altri, tocca a Loris salutare. C’è lui, il «problema» della famiglia, e, accanto a lui, ci sono i suoi famigliari: la mamma, la compagna, e poi i due figli Ivan e Vittoria, piccoli abbastanza per stare ancora sulla ginocchia dei genitori. Insieme, vicini vicini, questa famiglia disegna un’unica forma. Siamo in cerchio, ma loro riescono a crearsi un gioco di sedie che li unisca proprio come desiderano in questo momento. Arriva il loro turno.
È il momento di parlare, di restituire quanto hanno ricevuto e di passare il testimone del nostro metodo e, con esso, della nostre speranze, a chi è appena arrivato. Non sarà semplice: anche qui, tra noi, i miracoli facili scarseggiano. E non bastano pochi mesi di fatica. Loris ha conosciuto troppo bene la droga col suo fascino perverso. Ha creduto di poterla gestire accanto e dentro il lavoro, una famiglia, gli affetti.
Non mi aspetto da lui molto di più di un «vi ringrazio, sono contento di esserne fuori, spero di continuare così» magari biascicando, lasciando qualcosa di importante impigliato nell’imbarazzo e in quella dannata inutile vergogna che non se ne va.
Ma Loris, i figli strettissimi a lui, uno sulle ginocchia, uno sul fianco, comincia a dire la verità di sé, come forse non ha mai fatto. Qualcuno dei presenti vorrebbe che Ivan e Vittoria non ascoltassero tutto ciò che papà sta dicendo, ma più lui va avanti (magari con qualche opportuno «bip») più i due sorridono.
E quello sulle ginocchia dà il via a un ritmo di apertura e di chiusura delle braccia del papà quasi ad aiutarlo nella respirazione che si è fatta impegnativa per l’emozione. Come a dire che, se per loro c’erano stati dei giorni brutti, questi erano i giorni del silenzio e dell’assenza, quando le troppo rare e confuse parole denutrivano sentimenti e legami.
Ora si respira. Un uomo vuole rinascere davanti a tanti testimoni, davanti ai genitori, agli amici, ai figli: «Ho sbagliato, vi chiedo il perdono». E vuole dirlo non inghiottito da un picco depressivo o per compiacenza, ma perché è l’unica via dignitosa intravista che restituisca a tutti, se stesso compreso, il «sacrosanto» dovuto.
«Gli offri (a Cristo) il fiore della contrizione – suggerisce sant’Antonio – ed egli corre ad abbracciarti». Ti rigenera anche attraverso tutti quelli che avevi trascurato. Devo dire che, di questi «fiori», in circolazione ne vedo. Lode al Signore.
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