Cappadocia, nel grembo della terra
L’altipiano, a mille metri di altitudine, è tutto circondato da vulcani imponenti. Nel succedersi di colpi d’occhio scorrono falesie, calanchi, banchi rocciosi. È il paesaggio dei «mille coni abitati».
Siamo in Cappadocia, al centro della penisola anatolica, da sempre ponte per culture diverse tra Asia ed Europa, tra il Mediterraneo e il Mar Nero. Le rocce, fatte di tufo, sono protagoniste di un paesaggio che cambia in continuazione, in una sorta di time-lapse naturale dai colori cangianti, contrastanti, che vanno dai rosati ai rossi, fino ai gialli e ai verdi.
Coni e falesie si schiudono, poi, in valli che non ti aspetti, dalle linee sinuose dove fanno capolino piccoli appezzamenti di terra coltivati a vigneto, alberi da frutto, orti, e dove si trovano degli insediamenti abitativi. «Non mancano gli alberi da frutto (…). Soli con la loro ombra» scrive in The e mele, 1969, Pier Paolo Pasolini che, in questo lembo di terra, vi ambientò il suo film Medea.
Alle due Valli la XXXI edizione del Premio internazionale Carlo Scarpa
A questo luogo dell’Asia Minore, che emerge dalla lunga vicenda storica e geografica della Cappadocia, il Comitato scientifico della Fondazione Benetton Studi Ricerche ha dedicato la XXXI edizione del Premio Internazionale Carlo Scarpa. Due le valli contigue, scavate nella roccia vulcanica, scelte: la Valle delle Rose e la Valle Rossa, in lingua turca Güllüdere e Kızılçukur, chiamate così per i colori dell’ ambiente naturale.
La Cappadocia è oggi al centro di grandi cambiamenti, di abbandono dei paesaggi tradizionali, di nuovi usi e forme insediative legati al turismo di massa. Tante le scoperte, tra queste anche quelle di un gruppo di lavoro italiano che opera nel recupero dei preziosi cicli pittorici racchiusi nelle chiese rupestri.
A coordinarlo la storica dell’arte Maria Andaloro, ideatrice e coordinatrice della missione in Cappadocia, avviata nel 2006 e che fa capo all’Università della Tuscia, alla quale è stato assegnato il sigillo del Premio.
Maria Andaloro, Università della Tuscia: «Quest’area incanta da subito»
«E' uno spettacolo naturale che nasce dai contrasti. La bellezza e l'armonia non scontate sono racchiuse in elementi mai uguali – spiega la professoressa Andaloro –: si va dai contrasti creati dal paesaggio metamorfico sino ai colori cangianti sempre diversi tra loro; dall’aridità del suolo al rigoglio degli orti; dallo sguardo, chiamato a sconfinare all’orizzonte quando si sta all’esterno, sino alla necessità di racchiuderlo in pochi spazi anche visivi quando ci si sposta, invece, all’interno.
Vivere il paesaggio stando fuori, percorrendone le valli, ammirandone gli orti, arrampicandosi sulle rocce, e scoprire, poi, il multiforme mondo scavato che vi si cela dentro, è tutta un’altra cosa. Significa governare il passaggio dalla vista del panorama all’esperienza diretta del paesaggio. Lo sguardo muta direzione e il corpo il passo.
Cambia il punto di vista che da esterno, fermo, incline a cogliere il panorama da lontano, diventa invece immersivo e inclusivo dovendo misurarsi con una peculiare duplice dimensione: quella del paesaggio fatto di coni, calanchi, banchi rocciosi legati da una sintassi singolarissima, e quella dell’habitat rupestre, fatto di chiese, residenze laiche, spazi di lavoro e di produzione scavati al suo interno con quel continuo sottrarre la materia dal grembo».
Nasce qui il primo Cristianesimo
Tutto questo forma lo scenario naturale di una regione che vede, fin dal I secolo, l’arrivo del primo cristianesimo e dei padri della Chiesa e, poi, il diffondersi della cultura bizantina che, con i suoi innumerevoli insediamenti eremitici e monastici, chiese e santuari, formerà una delle più importanti comunità cristiane del primo millennio.
E sono proprio gli angusti ingressi di queste chiese, tagliati sulla parete, a permettere di transitare dalla gloria dell’esterno agli spazi, arcani e in ombra, dell’interno, fin dentro il grembo della roccia.
La mostra "Cappadocia. il paesaggio nel grembo della roccia", organizzata dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche a cura di Patrizia Boschiero e Luigi Latini, fotografie di Marco Zanin/Fabrica e fotografi della Missione dell’Università della Tuscia, con il progetto di allestimento di Tobia Scarpa e il progetto grafico di Marcello Piccinini, è aperta a Ca’ Scarpa, ex chiesa S. Maria Nova, Treviso, fino al 10 gennaio 2021 ( il giovedì e il venerdì ore 15-20, sabato e domenica 10-20), ingresso libero. Info: www.fbsr.it
L’articolo completo sul Premio internazionale Carlo Scarpa per il Giardino, assegnato a Valle Rossa e a Valle delle Rose in Cappadocia, è pubblicato nel numero di novembre 2020 del «Messaggero di sant'Antonio», disponibile anche in versione on line. Provala subito!