Musei a cielo aperto
«I paesi si salvano con gli occhi», scrive Franco Arminio, il poeta «paesologo», cantore dei piccoli centri e dei borghi semi-abbandonati. Con lo sguardo stupito, infatti, si possono accarezzare e restituire a nuova vita case diroccate, stradelle solitarie, piazze in cui regna assordante il silenzio.
Orgosolo (Nuoro)
Nella nostra ricerca di paesi da salvare innanzitutto con lo sguardo, approdiamo a Orgosolo, sito emblema della Sardegna più aspra e silenziosa. Nulla a che vedere con le chilometriche spiagge bianche o le falesie a strapiombo su uno dei mari più belli d’Italia. No, per arrivare a Orgosolo bisogna arrampicarsi lungo strade isolate e impervie (se si arriva percorrendo la vecchia via di accesso) che si tuffano in un paesaggio dai colori contrastanti, sospesi tra il rosso della terra e il verde dei cespugli di lentisco o dei secolari ginepri che nelle calde mattine estive spargono tutt’intorno il loro aroma.
Il paese, che si erge a circa 600 metri di altitudine sulle pendici del monte Lisorgoni, lembo del massiccio del Gennargentu, si staglia in una solitudine orgogliosa in mezzo alla natura selvaggia del Supramonte. Con i suoi nemmeno cinquemila abitanti, Orgosolo è la patria del canto a Tenore, patrimonio dell’umanità Unesco, ma è anche il simbolo per antonomasia del banditismo sardo che in questa zona si affermò alla fine dell’800.
Qui, tra le strette viuzze che profumano di terra, si può leggere una storia secolare, narrata per immagini: a raccontarla sono i murales che, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, hanno cominciato a colorare le pareti delle case antiche e nuove. È una storia politica, sociale, urbana, contadina. È racconto corale di una certa Sardegna, fatta di vita quotidiana in casa e tradizioni pastorali. È adesione a messaggi di fratellanza e a lotte popolari. È ricordo di figure di politici e di intellettuali figlie di questa terra: Grazia Deledda, Antonio Gramsci, Emilio Lussu.
Tutto iniziò nel 1969, quando un tal Diòniso – dietro al quale si nascondeva un collettivo anarchico milanese – realizzò il primo murale. Fu un atto di protesta: il sostegno degli artisti agli orgolesi in lotta contro la possibile installazione di un poligono militare. La struttura non vide mai la luce, ma i murales non si fermarono più. A partire dal 1975, infatti, un insegnante senese trapiantato in Sardegna, Francesco del Casino, con il supporto di studenti e cittadini, realizzò in soli tre anni un altro centinaio di opere. E poi, come una matassa che lentamente si dipana, arrivarono uno dopo l’altro artisti, locali e non, che continuano anche oggi a imprimere sui muri la loro idea di mondo.
I murales di Orgosolo sono una sorta di manifesto politico non solo per la forza dei soggetti raffigurati, ma anche per le didascalie che li accompagnano. Molte delle attuali 150 opere sono anonime, quasi a voler lanciare un grido universale, al di là di ogni personalismo. E sono quasi tutte realizzate con pitture ad acqua e quindi facilmente deteriorabili: i murales vengono ritinteggiati solo se i cittadini lo vogliono, altrimenti il tempo farà il suo mestiere...
Cibiana di Cadore (Belluno)
Percorrendo la strada statale d’Alemagna, entrati nell’abitato di Venas di Cadore un segnale stradale indica «Cibiana di Cadore, paese dei murales». Si imbocca così uno stradello tortuoso che, in una ventina di minuti, conduce all’abitato di Cibiana, 450 abitanti a circa mille metri sul livello del mare. A poca distanza dal paese, proprio sulla sommità del monte Rite (2.180 metri), sorge uno dei musei della montagna di Reinhold Messner, il Museo nelle nuvole, dedicato alla «roccia» e alla storia dell’alpinismo nelle Dolomiti. A far da cornice, alcune delle più belle cime dolomitiche, come il già citato Rite, gli Sfornioi, l’Antelao.
All’ingresso del paese, un cartello turistico mostra la dislocazione dei murales tra le tre frazioni (Cibiana di Sotto, nucleo storico dell’abitato, Masariè e Pianezze). È un percorso circolare quello suggerito, da fare a piedi, ma anche in bicicletta, tra case diroccate, molte chiuse, alcune in vendita. Numerose le abitazioni «cadorine», tipiche di questo spicchio di Veneto, realizzate in legno e pietra, con la cucina al piano terra e le stanze al piano superiore raggiungibili attraverso scale esterne. Edifici suggestivi, che riprendono vita quasi per magia attraverso i colori degli oltre cinquantacinque murales realizzati dal 1980.
Cibiana era famosa per l’industria del ferro, in particolare per la produzione delle chiavi, ma attorno agli anni ’70 del secolo scorso subì una pesante ondata migratoria. Per contrastare lo spopolamento, Osvaldo Da Col, all’epoca direttore della Pro Loco, con l’artista Vico Calabrò ebbero l’intuizione di restituire vita al borgo attraverso gli affreschi di strada.
Ben presto artisti, famosi ed emergenti, giunsero qui da tutto il mondo per decorare case e tabià (i tipici fienili in legno), con l’obiettivo di imprimere nelle loro opere le tradizioni, i vecchi mestieri e le antiche storie del paese, come quella immortalata da Walter Pregnolato nel 1982, ne La Vecia e l’Alviano, che ricorda la vittoria, nel 1508, delle truppe della Serenissima guidate da Bartolomeo d’Alviano, sull’imperatore Massimiliano I d’Austria che, a capo della Lega di Cambrai, voleva conquistare Venezia.
In alcuni casi, poi, i murales ritraggono proprio l’abitante della casa: Lelo il Liutaio, Pascal il Fabbro, Lole l’ultimo casaro. Moltissime le opere sulle quali merita soffermarsi. Come La Storia de l’Anguana (1989), del pittore inglese trapiantato a Venezia Geoffrey Humphries, che raffigura la misteriosa creatura del folklore cadorino, una sorta di ninfa delle acque.
Cibiana resta un paese isolato, fuori dal flusso turistico attratto dalla vicina Cortina d’Ampezzo. Qui bisogna venirci apposta e, una volta visto, sarà impossibile non amarlo. Perché, come canta ancora il nostro poeta «paesologo» Franco Arminio: «Voglio bene ai paesi. / Voglio bene a quelle case sgraziate / che ti accolgono alla periferia. / [...] Voglio bene ai paesi e a tutta la terra / che hanno intorno, al grano che cresce / sulle frane». (Franco Arminio, Resteranno i Canti, 2019).
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