Essere è tessere
All’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, il sindaco di Ulassai, un piccolo paese della Sardegna, chiede a un’artista locale, una donna appassionata delle tradizioni del territorio, di ideare un monumento ai caduti. Maria Lai, questo il suo nome, ci pensa e fa una controproposta: un monumento ai vivi. La sua idea è geniale e sovversiva, e parte da una domanda: che cos’è che spegne le nostre esistenze, che ci impedisce di entrare in quell’ampiezza sorprendente e feconda che solo la forza della vita può dischiudere? L’astio, il risentimento, e – ancora di più in quelle terre – i racconti di odio che alimentano le faide, dividono le famiglie, tramandano morte tra le generazioni.
Un monumento ai vivi richiede la partecipazione di tutti: così Maria Lai, ispirata da una leggenda popolare locale (una bambina che si salva dalla frana della montagna inseguendo un nastro azzurro che volteggia nell’aria) predispone un nastro turchino di quasi trenta chilometri, e con l’aiuto della popolazione inizia a legare le case tra loro. E proprio laddove esistono rancori e inimicizie ataviche, i legami si fanno più stretti, i fiocchi più grandi e pani di comunione vengono appesi per decorare. Il tutto, poi, viene legato alla cima della montagna, fonte di riparo ma anche minaccia costante. La vita fiorisce se gettiamo ponti sulle divisioni. «Essere è tessere», per Maria Lai e per tutti.
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