Il caffè sospeso
Guardate il gesto di questa foto (scattata qualche tempo fa, ndr). Siamo a Rotonda, paese del Pollino occidentale, tremila abitanti. Una donna esce di casa con un piccolo vassoio argentato. Tazzine per il caffè, con decori dorati, il servito migliore. Caffè per le amiche in strade, giorno di primavera. Caffè anche per il turista di passaggio. Ricordo le rughe profonde di Eduardo De Filippo e il suo sorriso soddisfatto: «Vedere quanto poco ci vuole per rendere felice un uomo: una tazzina di caffè presa tranquillamente qui fuori…». Momenti di trascurabile felicità, scriverebbe Francesco Piccolo.
Da quando vivo al Sud devo stare attento ai caffè. Mi offrono caffè mentre passeggio sul Corso. Chiunque incontri ti invita al bar. E devi avere tempo, tempo per le chiacchiere e per il piacere. Josè Vicente Quirante Rivas ha diretto per cinque anni l’Istituto Cervantes di Napoli e ne ha nostalgia irrimediabile. Soprattutto dal caffè. Al punto di scriverne l’elogio in un piccolo libretto. Dove fa sapere di sospettare «di chi non prende il caffè. Così come gli intellettuali ai quali non piace il calcio».
Strana storia quella del caffè. Sarà stato il pastore etiopico Kaldi il primo ad abbrustolirne i semi dopo aver visto le sue capre così eccitate dopo aver mangiato quelle bacche dalla buccia rossa? Oppure fu davvero l’arcangelo Gabriele a suggerire a Maometto questa complessa bevanda preparata da Allah? Il caffè navigò per il Mar Rosso, approdò a Istanbul, incuriosì e appassionò i veneziani che furono i primi, in Occidente, fra ‘500 e ‘600 a importarlo.
Il caffè è la prova che cibi e bevande sono storie meticce. Figli di contaminazioni e incroci. A Trieste, città lontana dal piccolo paese della Lucania, dovrete, prima di entrare in un bar, apprendere un nuovo dizionario: qui il caffè normale è un «nero». Se volete una macchia di latte, dovrete chiedere un «gocciato», ma se volete un caffè davvero macchiato, dovete pur sapere che è un «capo in b». In bicchiere, insomma.
La donna di Rotonda si gira leggermente, ruota la mano, attenta a non perdere l’equilibrio del vassoio. Accetto con piacere l’offerta della tazzina dorata. Andrò poi al bar, nella piazza del paese, quando si attraversa un frammento di felicità, bisogna lasciare, come segno di riconoscenza verso il destino, un caffè pagato, un caffè sospeso. «È come offrirlo al resto del mondo».