L’Acca cantante

Lettera muta del tutto non è, se è arrivata sino allo Zecchino d’oro. Di strada tuttavia ce n’è ancora tanta, «proprio perché ancora se ne canta!».
05 Marzo 2020 | di

Per tutta la durata delle mie scuole elementari ho passato, come molti altri, qualche pena sull’analisi logica e grammaticale… C’era in particolare una domanda che in quel periodo mi portavo continuamente dietro: perché l’acca è una lettera muta? Nonostante la nota regola, non riuscivo a darmi una spiegazione convincente. Su di lei, pensate, si sono azzuffati per secoli poeti e linguisti, divisi tra chi la considerava fondamentale e chi invece ne avrebbe fatto tranquillamente a meno.

Con il passare del tempo la domanda ha continuato ad assillarmi, finché, nei primi anni Ottanta, non mi è venuta sotto gli occhi una rivista, allora molto in voga: H muta, uno dei primi magazine italiani interamente dedicato alla disabilità. Ci risiamo, ho pensato: eccola lì, di nuovo lei, l’Acca, che come al solito torna a punzecchiarmi con la stessa questione. Alla risposta non ci sono arrivato subito, c’è voluto un viaggio lungo più di trent’anni, cominciato con la creazione di qualcosa che prima non c’era, che ha sostituito all’Acca muta un’Acca che parla, un’Acca parlante.

È il nome, lo avrete già capito, della cooperativa di cui faccio parte, nata in seno al Centro documentazione handicap di Bologna e che di questo concetto semplice e immediato ha scelto di fare la sua carta d’identità. Figlia di quell’intuizione fu anche la rivista «HP-Accaparlante», che allora si presentava con il disegno di una lettera (l’Acca, ovviamente) trascinata su un carretto da un omino con una penna da calamaio dietro l’orecchio e un bel fiore in bocca.

Da lì, da quella semplice intuizione, è cominciato tutto il mio successivo lavoro sull’inclusione, lo stesso che oggi mi porta qui, a «chiacchierare» insieme a voi su queste pagine. L’Acca, insomma, lettera muta del tutto non è, e oggi da Acca-parlante si è trasformata in Acca-cantante. A darle voce è stata la giovanissima Rita Longordo, che con i suoi piccoli coristi ha portato la nostra Acca direttamente sul palco dello Zecchino d’oro. La storica competizione canora dell’Antoniano di Bologna, protagonisti i bambini, ha così dato la risposta che a sette anni cercavo anch’io, con una canzoncina, dal titolo Acca, che sono certo all’epoca avrei adorato.

A parlare ora è proprio la bistrattata letterina, «quasi una lettera», si potrebbe dire, che si infila in mezzo a vocali e consonanti e che, è vero, non si sente, ma senza la quale sarebbe impossibile formare le parole. Acca è già stata utilizzata in moltissime scuole italiane, riscuotendo subito grande successo. I bambini, lo sappiamo, non ci mettono tanto ad assorbire ed apprendere e la musica è spesso uno degli strumenti prediletti da chi lavora nel mondo dell’educazione per trasmettere valori, nozioni e ampliare il punto di vista.  

Ecco allora che è davvero un piacere, per me, vedere l’Acca crescere e incontrare, finalmente, il largo pubblico. Di strada tuttavia ce ne è ancora tanta, proprio perché ancora se ne canta, concedetemi la rima! Che dire, non mi resta che lasciarvi con il refrain della canzone, perché «sono l’acca / tra le lettere / sono quella meno scritta! Su due lunghe gambe, io me ne sto / letteralmente zitta. / Ma, se in mezzo a tutte le altre, mi ci metto, guarda un po’ / so parlare, son speciale - Necessaria altro che no!» 

E voi, preferite parlare o cantare? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.

Data di aggiornamento: 05 Marzo 2020
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