Emergenza Africa un anno prima del Coronavirus
Un anno dedicato principalmente a rafforzare il sistema sanitario nei Paesi africani. Mai un resoconto Caritas Antoniana è stato più profetico di questo, visto con gli occhi di oggi 21 febbraio, a un mese dallo scoppio dell’epidemia provocata dal nuovo coronavirus. La possibilità che l’Africa diventi un nuovo focolaio della malattia proprio a causa della debolezza della sanità africana è una delle più grandi preoccupazioni delle autorità sanitarie internazionali.
Il 71 per cento dei 3 milioni e 360 mila euro, investiti in solidarietà dall’organizzazione caritativa dei frati minori conventuali nel mondo ha finanziato 85 progetti (sui 130 complessivi) in 20 Paesi africani. Le realizzazioni più onerose hanno riguardato proprio ristrutturazioni e costruzioni di reparti ospedalieri, servizi maternità, dispensari rurali, mentre una cifra consistente è stata spesa per l’acquisto di attrezzature mediche e medicinali. Interventi che hanno consentito l’accesso ad alcuni servizi sanitari di base a più di un milione di persone e che ha permesso ai sostenitori di Caritas Antoniana di avere un piccolo ma significativo ruolo nella lotta alle malattie infettive e alla mortalità materno-infantile in Africa.
Un resoconto profetico
Una scelta, quella di rafforzare ove possibile i servizi sanitari, a suo tempo convalidata dai dati della Banca Mondiale, che per esempio attestavano che l’Africa Sub Sahariana da sola sopportava il 24 per cento delle malattie a livello mondiale, ma possedeva solo il 3 per cento della forza lavoro sanitaria, ovvero medici, infermieri e ostetriche. Dati validi ancor oggi, che dovrebbero fare da monito per moltiplicare gli interventi a favore dei sistemi sanitari dei Paesi più poveri, nella consapevolezza che nessuna pandemia può essere contenuta se non c’è una solidarietà sanitaria tra gli stati.
Il resoconto Caritas Antoniana registrava questa urgenza, già prima del Coronavirus, grazie alla capacità di captare i bisogni, da parte delle missionarie e dei missionari laici e religiosi, in particolare delle congregazioni femminili: «Ci siamo resi conto negli anni – spiega fra Valentino Maragno, direttore della Caritas Antoniana – che spesso sono proprio le suore ad agire nell’ultimo miglio, cioè nell’ultima parte di ogni progetto di solidarietà e che di fatto svolgono il lavoro concreto di assistenza e di cura, a diretto contatto con le comunità, gestendo scuole e case famiglia o operando nei piccoli ospedali. Alle congregazioni femminili ci siamo rivolti per tutto il 2019 per collegare ancor più il nostro operato ai bisogni primari dei poveri». L’aspetto sanitario è stato anche al centro di altri interventi: «Abbiamo dato grande attenzione anche all’accesso all’acqua potabile o alla possibilità di avere a disposizione bagni in scuole e strutture di comunità: tutti elementi che migliorano l’igiene e limitano la diffusione delle epidemie».
L'hardware dello sviluppo
Grande attenzione, nel 2019, è stata anche data a quelli che Caritas Antoniana denomina «progetti di promozione umana», per i quali si è speso oltre 1 milione di euro. Si tratta di progetti promossi soprattutto in zona rurale per formare le persone al lavoro, migliorare il rendimento agricolo, istituire piccole attività familiari, promuovere la collaborazione per affrontare i problemi in un’ottica di sviluppo.
Ultima riflessione importante merita il tipo di progetto richiesto: per il 46 per cento si tratta di progetti di costruzione a cui si aggiunge un altro 10 per cento di progetti di ristrutturazione. I due tipi di intervento totalizzano insieme la ragguardevole cifra di 2 milioni e 600 mila euro, quasi il 77 per cento della somma totale. «Si tratta di costruzioni che le comunità locali non potrebbero mai permettersi – conclude fra Valentino –. È come se i sostenitori di Caritas Antoniana avessero in qualche modo donato alla gente l’hardware del proprio sviluppo».