Custodi del prossimo
«Caro direttore, ho letto nel suo editoriale di giugno che, come altri Paesi africani, “il Togo è impoverito e depredato da anni di saccheggi delle potenze coloniali europee”. È un fatto storico, inconfutabile, reale. Quasi tutti i Paesi europei ne sono stati protagonisti: dopo aver preso tutto, ora diciamo “arrangiatevi”. È un discorso che da anni porto avanti, di “restituire” quello che abbiamo “rubato” con interventi in loco e con una politica europea di accoglienza ben organizzata nella massima trasparenza e sicurezza per tutti. Purtroppo il risultato è modesto. Riesco a far ragionare le persone su un fatto specifico, ma nel tempo mi accorgo che non incide nel cuore e nella mente dei miei interlocutori. Quanto vorrei che questo argomento venisse ripreso, documentato e rilanciato sempre con forza, e con competenza, per contrastare la cultura di odio e di paura che si sta ampliando in Italia, in Europa e oltre. Grazie fra Fabio per quello che potrà fare». Oreste
Magari la storia fosse davvero «maestra di vita», come siamo soliti sentenziare! Non dico solo per assumerci responsabilmente le conseguenze di ciò che può essere capitato una volta (di cui non siamo evidentemente colpevoli, visto che non c’eravamo; ma siamo colpevoli se ci comportiamo come se niente fosse successo). Ma almeno per non ripetere gli stessi errori oggi, quando, tra l’altro, i potenti mezzi di conoscenza che abbiamo a disposizione possono aiutarci a prevedere gli scenari futuri. Non riesco, allora, ad arrabbiarmi più di tanto con i vecchi colonizzatori che, qualche volta brandendo spada e crocifisso, hanno impunemente depredato, saccheggiato e irrimediabilmente impoverito intere popolazioni e zone del mondo, votandole il più delle volte alla morte culturale e alla dipendenza economica, con la beffa oltretutto del disprezzo e della presunta superiorità civile.
Ma, noi, per esempio, siamo consapevoli che per il nostro ultimo modello di iPod o iPhone – perché mica vorremo restarne senza? – serve necessariamente una certa quantità di un minerale che si chiama coltan? Che è un minerale raro, che per l’80 per cento è estratto, letteralmente a mani nude, da adulti e bambini, in Congo, e più esattamente nella zona del Kivu? Una «terra di nessuno», dove – ma guarda un po’! – si contano ormai milioni di morti nella guerra tra bande? Chi compra il coltan non si preoccupa della provenienza e se il mercato è clandestino e senza controlli. Così, quello che poteva essere una benedizione per i congolesi è diventata la più grande delle maledizioni. Ma noi, in cambio, possiamo sfoggiare il nostro device nuovo di zecca.
Cosa voglio dire? Il nostro lettore ha ragione: non ha senso continuare in questo modo, che ci deresponsabilizza tutti, sia i «buonisti» che vedono tutto facile, sia coloro che preferiscono alimentare paure e odi. È sempre più un problema di stili di vita responsabili e solidali, è la capacità di rinunciare a privilegi perché tutti si stia meglio assieme. È, infine, assumere seriamente la domanda: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). Sì! «Sappi che se sarai veramente il suo custode, avrai una grande ricompensa» (sant’Antonio, Domenica I dopo Natale)!
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