«C’è musica, c’è vita»

In dialogo con Riccardo Muti, tra i più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi, che ha compiuto, lo scorso luglio, 80 anni, settanta dei quali immersi nella musica.
06 Ottobre 2021 | di

Come sarebbe il mondo senza la musica? «Non sarebbe il mondo» risponde Riccardo Muti, tra i più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi, un italiano ammirato e celebrato in ogni continente. Dei suoi splendidi 80 anni (che ha compiuto alla fine di luglio), più di settanta li ha attraversati con la musica e nella musica fin da quando, nel giorno di san Nicola del 1948 a Molfetta (Ba), il papà gli regalò un piccolo violino da due quarti. Quello fu il suo ingresso in un universo di note e di meraviglia a cui Riccardo Muti ha dedicato ricerca, passione, dedizione totale.

Prima gli studi al conservatorio di Bari diretto da Nino Rota (il celebre compositore delle colonne sonore dei film di Federico Fellini) che scorse il suo talento, poi a Napoli il diploma in pianoforte con Vincenzo Vitale nel 1961, quindi a Milano gli insegnamenti di Antonino Votto che era stato il rigorosissimo collaboratore di Arturo Toscanini alla Scala. Già nel 1968 Riccardo Muti venne nominato direttore del Maggio Musicale fiorentino, poi, nel 1972, assunse la guida della Philharmonia Orchestra di Londra e dal 1986 per quasi vent’anni è stato direttore musicale del teatro alla Scala di Milano.

Dal 2010 conduce la prestigiosa Chicago Symphony Orchestra. In parallelo, nel 1971 Herbert Von Karajan lo invitò al Festival di Salisburgo e in questi cinquant’anni il sodalizio con i Wiener Philharmoniker è diventato sempre più profondo e radicato. Con Ravenna Festival (fondato dalla moglie Cristina Mazzavillani), il Maestro Muti ha poi dato vita al progetto Le vie dell’amicizia che da 25 anni porta la musica in luoghi storici e spesso martoriati, da Sarajevo a Beirut, da Nairobi a Teheran.

Msa. Maestro, la musica è parte dell’uomo.

Muti. Il mondo nasce con lo stormire delle foglie o il canto degli uccelli, e fin dall’inizio l’uomo ha avvertito la necessità di utilizzare i suoni per esprimere sentimenti anche primordiali, ma intensi. Quindi la musica è nel mondo, nasce col mondo. Poi l’uomo, dal punto di vista razionale, ha fatto in modo che i suoni venissero composti: è nata la melodia, l’armonia, con tutta la storia della Musica che è espressione della bellezza.

Lei è figlio della cultura italiana...

E ne sono orgoglioso. Ho avuto insegnanti italiani, sia al liceo che all’università e al conservatorio, e la mia formazione è italiana. E sono grato ai miei insegnanti che sono stati molto severi.

La severità è importante?

Nel loro rigore questi maestri mi hanno formato a una disciplina del lavoro, la stessa disciplina che ho ritrovato, per esempio, anche nelle lettere di Giuseppe Verdi, il quale, a chi gli chiedeva quale fosse il segreto del successo, rispondeva: «Lavoro, lavoro, lavoro». È inutile fare il genio pazzo. E non sono d’accordo con l’improvvisazione: a volte si vende la mancanza di idee come genialità.

È difficile dirigere un’orchestra? Che cosa significa essere là, sul podio?

La parola «direttore» in sé è fuorviante: riporta alla mente i direttori scolastici di altri tempi che entravano in classe e controllavano anche se avessimo le unghie pulite. Dirigere non vuol dire essere autoritari, ma significa indirizzare anche cento o duecento persone verso un concetto interpretativo: il direttore è tenuto a formarsi una propria idea sulla partitura da eseguire, e deve saperla enunciare e spiegare a quanti ha di fronte. Non deve imporre, ma deve convincere. E la bacchetta non è uno scettro. Toscanini diceva che le braccia sono estensione della mente.

Ovvero?

Dirigere è più che altro spiegare e il vero direttore si vede nelle prove, quando porta la sua concezione musicale agli altri musicisti che possono anche non essere d’accordo con lui ma convergono sulla sua interpretazione. Il direttore è un primus inter pares, ma ha il dovere di possedere una sua idea interpretativa e di trasmetterla all’orchestra, quindi al pubblico. Dirigere non significa sbacchettare. Oggi purtroppo si corre verso il successo in maniera veloce, per il desiderio di sfondare immediatamente, ma a volte non si compie più il tragitto di anni e anni di studio, di contrappunto, di armonia. E di gavetta.

Non si finisce mai di studiare?

È fondamentale. Ad agosto a Salisburgo ho diretto la Missa Solemnis di Beethoven. L’ho studiata per anni, ma non avevo mai avuto il coraggio di eseguirla, perché è di un’altezza tale che sentivo di perdere il respiro, come quando si prova a scalare l’Everest senza ossigeno. Più analizzavo questa partitura, più sentivo che l’altezza diventava quasi irraggiungibile, come se stessi entrando nella zona metafisica dell’ultimo Beethoven.

Qual è la peculiarità di questa Messa?

È la più profonda preghiera che un uomo possa aver rivolto a Dio, e personalmente la ritengo un capolavoro altissimo in musica, come la Cappella Sistina lo è per l’arte figurativa. Beethoven utilizzò il testo latino per innervarlo di speranza, di dolore, di misericordia, di pietas: anche per questo mi dispiace sentire che la Messa in latino potrebbe essere ulteriormente ridimensionata.

Maestro, che rapporto ha con le fede?

Provengo da una famiglia di antica tradizione cattolica, sono battezzato e cresimato, anche se non sono un osservante. Credo che ognuno di noi porti una Chiesa dentro di sé. E comunque ascolto sempre con attenzione gli uomini di Chiesa che riescono ad accompagnarci nella profondità dei concetti teologici: ho avuto per esempio l’onore di trascorrere un po’ di tempo con papa Benedetto XVI e gli ho manifestato tutta la mia ammirazione per la sua capacità di parlare di temi teologici con enorme chiarezza. Rem tene, verba sequentur dicevano i latini: «se tu possiedi veramente il concetto, le parole seguiranno naturalmente»...

E nella musica si «sente» anche Dio?

Beethoven era cattolico, e infatti nella sua Messa scrive proprio di una Chiesa sanctam, catholicam, apostolicam, mentre invece Schubert, nelle sue Messe, talvolta ometteva la parola catholica: pur essendo cattolico, mal sopportava alcune affermazioni o condotte delle istituzioni religiose. Di Verdi si è detto che fosse ateo, ma se leggiamo i testi di tutte le opere di Verdi che sono rivolte al Cielo, può nascerci qualche dubbio: non poteva essere «a-teo», cioè senza Dio.

Già nel 2004 lei ha fondato l’Orchestra giovanile Cherubini che la scorsa estate ha diretto anche al Quirinale per il G20 Cultura. I giovani sono la nostra speranza?

Sì, credo molto in questi giovani musicisti che, in un mondo così superficiale, dedicano la loro vita al culto della bellezza e dell’arte, e molto spesso faticano a trovare lavoro perché, non solo nel nostro Paese, l’interesse verso la cultura sta declinando sempre più. Alle autorità presenti quella sera al Quirinale ho chiesto di impegnarsi per i giovani: infatti le giovani generazioni aspettano da loro che sappiano completare al 100 per cento quello che la nostra generazione ha fatto al 50 per cento. Anche la scelta della Sinfonia del Nuovo Mondo di Dvořák ha voluto rappresentare l’auspicio che, dopo la tragedia che tutti noi abbiamo attraversato, si possa davvero aprire un nuovo mondo, con il pieno recupero dei valori, abbandonando la sciatteria e l’abbruttimento.

Pensa che ci riusciremo?

Voglio sperarlo. Così come la traiettoria della vita conosce alti e bassi, io mi auguro che – per dirla in musica – dopo la discesa drammatica che abbiamo vissuto ci possa essere un bel crescendo, graduale, non violento, che possa portare a quello che noi musicisti chiamiamo il punto agogico, l’esplosione della bellezza.

L’artista è sempre solo?

Se è un interprete, l’artista deve avere la capacità di interrogare il passato: spesso vive nella solitudine del confronto con autori che non sono presenti perché già scomparsi. Però l’artista ha anche il compito di ritenersi giustamente cittadino di una società. L’arte non va mai usata come martello politico, e non sono d’accordo con gli artisti che fanno politica militante, perché l’arte e la crea­tività vengono condizionate dal­l’appartenenza: tuttavia ogni azione di un artista in quanto cittadino è un’azione politica.

Se le chiedessero di guidare un governo, lo farebbe?

No, perché ognuno deve stare nel suo campo e cercare di farlo nel modo migliore. Non so come sarò giudicato alla fine della vita per il mio lavoro di interprete, ma una cosa è sicura: l’impegno è stato veramente totale. E continua a esserlo.

Nella vita come nella musica il tempo è importante. Se la sua vita fosse una partitura, con quale tempo la definirebbe?

Nelle partiture le indicazioni sono assolutamente varie negli andamenti. Della mia vita potrei dire che è stata un andante con moto, talora un allegro vivace. Non è stata mai un adagio, nel senso che fin da giovane mi sono trovato ad assumere ruoli di responsabilità, quindi non sono stato mai «ad agio».

E come immagina la vita oltre la vita?

Non entro nei concetti dell’anima o della risurrezione, ma penso che tutti siamo fonte di un’energia che fa parte dell’energia dell’universo. In fondo questa energia – che dà anche la possibilità di creare i capolavori dell’arte – è Amore con la A maiuscola, l’Amor che move il sole e le altre stelle scriveva Dante. Sono anche sicuro che l’universo non possa essere silenzioso: il nostro orecchio non lo sente, ma di certo esiste un suono dell’universo. C’è musica, c’è vita.

 

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Data di aggiornamento: 09 Ottobre 2021
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