Connessi in nome del Vangelo
«Leggete il “Messaggero di Sant’Antonio”, abbonatevi, regalatelo ai vostri amici, ai giovani di casa. È una bella rivista, che fa formazione»: con queste parole il delegato pontificio per la Basilica del Santo, monsignor Fabio Dal Cin, ha concluso la Santa Messa odierna delle ore 10.00, da lui presieduta e dedicata proprio alla grande famiglia antoniana degli abbonati al «Messaggero».
Una chiesa gremita di fedeli giunti da ogni parte d’Italia e dall’estero ha fatto da sfondo alla celebrazione, a chiusura della quale i frati concelebranti (fra Massimiliano Patassini, direttore editoriale, e fra Giancarlo Zamengo, direttore generale del «Messaggero di Sant’Antonio») hanno portato all’altare del Santo le ceste con le lettere e le preghiere inviate per l’occasione dai lettori della rivista.
«Quest’anno – ha ricordato il Delegato – facciamo memoria degli 800 anni della svolta francescana di Antonio e in particolare dell’inizio della sua missione di predicatore appassionato del Vangelo». Era il settembre 1222, infatti, quando frate Antonio – dopo aver scelto la veste francescana nel 2020, essere partito per la terra di missione, essersi ammalato, aver cercato di far ritorno verso casa senza però mai giungervi a causa di un naufragio che fece approdare la sua nave sulle coste siciliane – «per caso» fu chiamato a rivelare al mondo le sue doti di predicatore.
«Un caso» che in realtà altro non è altro che uno dei nomi della Provvidenza. «Dal 1220 – ha infatti sottolineato Dal Cin – la vita di Antonio fu segnata da alcuni eventi provvidenziali che gli dispiegarono la volontà di Dio. I piani che egli aveva per la sua vita, il suo desiderio di martirio, vennero infatti modellati dal Signore che lo volle predicatore del Vangelo prima in Italia e poi anche in Francia».
«In realtà – ha detto ancora monsignor Dal Cin –, Gesù chiede a tutti di predicare il Vangelo, perché come cristiano ciascuno di noi è chiamato a essere missionario e testimone. E oggi siamo invitati a esserlo anche in questo nostro Veneto, anche in questa nostra Italia, diventata più che mai terra di missione nella quale testimoniare Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo, con la nostra vita, in un percorso analogo a quello compiuto da Antonio, la cui missione è passata attraverso i fatti di cui Dio si è servito per renderla più profetica».
«Non dobbiamo – ha detto ancora il prelato – fidarci solo delle nostre brillanti idee o del nostro efficientismo, ma assecondare l’azione dello Spirito Santo che ci parla attraverso i fatti. Come Antonio, che ha saputo leggere gli eventi della vita con cui Dio gli parlava, ben sapendo che dinanzi ad alcuni fatti c’è sempre la grazia di Dio che va accolta». Un percorso, quello di Antonio, compiuto in comunione con la Chiesa e i fratelli, perché «il nostro Santo non è diventato tale da solo, ma grazie alla Chiesa, a tutti quei volti che ha incontrato nella sua vita. Allo stesso modo nessuno di noi può vivere la propria vocazione autonomamente, ma solo in modo ecclesiale. Il battesimo ci ha infatti connessi gli uni agli altri, per realizzare il piano di salvezza del Signore, il quale ci chiama a dare il meglio di noi stessi proprio attraverso gli altri. Tutti siamo connessi e non possiamo progredire senza gli altri, perché è negli altri che Dio stesso si fa presente. Anche nel cammino della pace dobbiamo progredire insieme, dialogando e collaborando tra nazioni».
Monsignor Dal Cin ha quindi concluso la sua omelia richiamando la lettera che papa Francesco (di cui il delegato si è fatto latore dei saluti in occasione della festa del Santo) ha inviato al Generale dei francescani conventuali, fra Carlos Trovarelli, alla vigilia delle celebrazioni per gli 800 anni della vocazione francescana di Antonio, augurando che «questa ricorrenza susciti in ciascuno di noi il desiderio di sperimentare la stessa inquietudine che fu di Antonio e che lo portò a testimoniare sulle strade del mondo le opere di Dio».
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