«Tu sia benedetto!»

Un luogo caro ai pellegrini che vengono a visitare la Basilica del Santo è la Cappella di Santa Caterina, meglio nota come Cappella delle Benedizioni. Luogo di confidenze e lacrime, ma anche di sorrisi, consolazione e di rinnovata forza.
11 Aprile 2022 | di

Ci sono soste immancabili per il pellegrino che viene in visita alla Basilica di sant’Antonio. La prima, davanti al cuore pulsante del grande Santuario, la tomba che conserva le spoglie mortali di Antonio, dove il devoto posa la mano sulla lastra di marmo verde che ricopre il sarcofago, pronuncia una preghiera silenziosa o esprime una richiesta, un grazie, spesso con il cuore e gli occhi gonfi di lacrime. La seconda è la penitenzieria, dove l’animo in subbuglio del devoto, spesso preda di mille dubbi o domande, può trovare un altro momento di pace. Sa di essere già stato ascoltato da Antonio, ma, attraverso di lui, ora vuole entrare in dialogo profondo con il Padre. Antonio porta sempre a Dio e le persone che affollano ogni giorno la penitenzieria ne sono la prova vivente. La terza tappa è la celebrazione eucaristica: difficile, molto difficile, che un pellegrino che viene in Basilica non partecipi alla Santa Messa, perché anch’essa è un momento fondamentale di quel dialogo con il Padre ispirato da Antonio e che durante l’eucarestia diviene corale, comunitario. C’è poi chi visita la Cappella del Tesoro, dove sono conservate le reliquie antoniane più importanti: la lingua e il mento del Santo, segni di una parola umana che ha saputo farsi Parola di Dio.

Ma, prima di uscire dalla casa di Antonio, quasi tutti fanno un’ultima tappa: la sosta è alla Cappella delle Benedizioni, chiamata così perché in essa è sempre possibile trovare un frate disponibile ad ascoltare, a offrire una parola e, appunto, una benedizione, un «viatico» per la vita quotidiana propria e di quei cari a cui magari si porterà un piccolo pensiero da Padova, come a dire: «Tu, anche se non c’eri fisicamente, eri lì con me. Ho pregato per te e con te».

La storia

La Cappella delle Benedizioni è la prima a destra del coro della Basilica. Il suo vero nome è in realtà Cappella di Santa Caterina e, in origine, era di proprietà della famiglia degli Scrovegni, la stessa che commissionò a Giotto la sua opera più famosa, che si trova nel centro città (la Cappella degli Scrovegni). Anche nella Cappella antoniana vi sono delle tracce di un ciclo pittorico trecentesco attribuito al padre della pittura moderna, oggetto di un restauro che si è concluso lo scorso febbraio dopo nove mesi. I lavori hanno permesso, come ricorda la Soprintendenza, «l’acquisizione di molti particolari usciti dalla mano di Giotto, che non erano più leggibili, garantendo così la salvaguardia e lo studio di un’opera fondamentale per comprendere il percorso di Giotto da Assisi a Padova». Così ora, grazie al restauro (frutto della sinergia tra Delegazione Pontificia della Basilica con il delegato monsignor Fabio Dal Cin, Comune di Padova con l’Assessorato alla Cultura, Università di Padova e Fondazione Cariparo) è possibile di nuovo ammirare i volti delle sante martiri dipinti da Giotto sull’arco d’ingresso della Cappella: donne ritratte con la palma del martirio o la croce in mano, donne che in nome di Cristo hanno sopportato le efferate violenze di chi voleva costringerle ad abiurare la propria fede.

Fino a una quarantina d’anni fa, la Cappella aveva un aspetto completamente diverso. Tra il 1981 e il 1983, infatti, in Basilica lavorò Pietro Annigoni che proprio in questa Cappella lasciò tre dei suoi più importanti affreschi: la Crocifissione, un grande dipinto di forte impatto, la Predica ai pesci (sul lato sinistro) e Sant’Antonio incontra Ezzelino da Romano (sul lato destro).

Ed è proprio dinanzi all’imponente crocifisso che per i pellegrini è possibile affidare a un frate i propri macigni, quasi a volerli depositare simbolicamente ai piedi di quella croce in cui ciascuno riconosce un pezzetto della propria piccola o grande croce quotidiana. È luogo di confidenze la Cappella di Santa Caterina, ancora prima di essere luogo di benedizione, dove le parole non più trattenute in cuore, come avviene alla tomba di Antonio, possono fluire affidandosi a un orecchio attento e a un cuore aperto.

L’incontro

Spesso a svolgere il servizio alla Cappella delle Benedizioni è chiamato fra Alberto Tonello, un giovane frate che compie questa missione con particolare cura e amore per le persone: «Agli inizi della mia vocazione – ci confida –, sentivo forte il desiderio di diventare frate e sacerdote proprio per poter benedire i fedeli e sentirmi così strumento immediato di quell’amore che dal Padre giunge a tutti i suoi figli». «A volte mi capita di incontrare persone – continua – che chiedono la benedizione quasi come fosse una cappa magica capace di preservarle da ogni disgrazia. È un atteggiamento eccessivamente devozionale, che rischia di scadere nella superstizione. Ma, a dire la verità, non sono molti. La maggioranza della gente viene qui consapevole di ricevere un dono dal Signore, che renderà feconda la propria vita. Perché è proprio questo il senso di quel “dire bene” di noi (questo significa “benedire”) che il Signore esprime in modo del tutto gratuito. Colui che viene benedetto si pone sotto la protezione divina, riceve un “surplus” di forza che lo aiuta a percorrere meglio il cammino dell'esistenza. È come se la benedizione accrescesse la consapevolezza di essere sotto “le ali” protettive di Dio. Benedicendoci, il Signore viene a dirci: “Io sono con te, non temere”».

A chiedere una benedizione arrivano persone di ogni età (bambini, giovani, adulti, anziani) e provenienza (italiani, ma anche molti stranieri); persone sole, sposi che festeggiano un anniversario o che, insieme da poco, vogliono affidare la loro nuova famiglia allo sguardo misericordioso del Signore. O, ancora, fidanzati in procinto di sposarsi. Persone con una fede profonda e altre che magari ne hanno solo un accenno, sul quale però il Signore spesso opera miracoli di conversione. «Mi commuove sempre – conclude fra Alberto – vedere come ricevere una benedizione accompagnata anche solo da qualche parola di conforto possa rasserenare. Per molti, questo gesto è l’ultima spiaggia di un’esistenza particolarmente dolorosa o complicata. E capita che non appena io chiedo alle persone come si sentano, loro mi aprano la loro vita come un vaso di Pandora da cui fanno uscire dolori, situazioni disperate, lacrime, il racconto di malattie, problemi familiari, problemi di lavoro… Spesso mi sento impotente: vorrei tanto essere capace di fare una magia e togliere il dolore alle persone, ma non so farlo. Però assisto sempre con cuore stupito e grato all’opera misericordiosa del Signore che sa trasformare, con poche parole e con qualche goccia d’acqua, le lacrime in sorriso, un cuore devastato in un cuore sereno».

 

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Data di aggiornamento: 12 Aprile 2022
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