Cuba, un'isola in bilico
È stato un Capodanno insolito. Per la prima volta da 57 anni, Cuba ha celebrato l’anniversario del trionfo della «Revolución» senza il suo protagonista principale. Fidel Castro è morto il 25 novembre, a 90 anni. Già da un decennio, però, l’isola si era abituata a fare i conti con «l’ingombrante assenza» del líder máximo. Quest’ultimo si era ritirato dalla vita pubblica nel 2006 e aveva lasciato il comando al fratello Raúl.
Non che fosse scomparso del tutto. La sua voce, sempre più flebile, continuava a farsi sentire di tanto in tanto. Con apparizioni a sorpresa dopo lunghi mesi di invisibilità. Mentre il «Granma», giornale ufficiale del Partito comunista di Cuba, ne diffondeva le lunghe – e spesso ingarbugliate – riflessioni. Di fatto, però, l’influenza reale del comandante s’era fatta minima. Tutto ciò che sarebbe dovuto accadere dopo la sua morte si era già verificato. Il «nuovo corso», inaugurato da Raúl, aveva fatto incamminare il Paese su una via che Fidel si era sempre rifiutato di percorrere: progressiva apertura al mercato, riavvicinamento con gli Stati Uniti e, in ultimo, ricambio generazionale, con l’uscita di scena di Castro a febbraio 2018.
La transizione è in marcia. Anche se deve procedere a rilento: il rischio implosione è elevato. Determinante nel processo di apertura è stato il ruolo della Chiesa. Il viaggio di Giovanni Paolo II, nel gennaio 1998, nell’ultima stagione del líder máximo, aveva infranto il tabù dell’invisibilità del fattore religioso in ambito pubblico. Pur non essendoci mai stata persecuzione dichiarata, fino al 1991 a Cuba vigeva l’ateismo di Stato. La fede era rigorosamente relegata all’ambito privato. Tanto che il Natale era giorno feriale. È divenuto festa, di nuovo, in occasione del viaggio di papa Wojtyla. E lo è rimasto.
La Chiesa, negli anni successivi – in quanto unica realtà indipendente dal Partito – è diventata un prezioso laboratorio di pluralismo. Mentre la «diplomazia della misericordia» di papa Francesco è riuscita a innescare il disgelo tra L’Avana e Washington. La svolta del 17 dicembre 2014, però, ora è in bilico. Il neo-presidente Usa Donald Trump ha minacciato, seppur velatamente, di invertire la marcia. Tornando alla politica del muro contro muro. La stessa strategia che, per mezzo secolo, ha cementato il potere dei Castro.