Di Trolio e la scommessa del Cgie
Il Cgie, Consiglio generale degli italiani all’estero, presieduto dal ministro degli Affari esteri, si compone oggi di 74 Consiglieri, di cui 45 eletti all’estero e 29 di nomina governativa.
Eletto nel 2015, l’unico consigliere a rappresentare gli italiani in Canada è Rocco Di Trolio, residente a Vancouver. Nato nel 1955 a Calabritto, in provincia di Avellino, vive all’estero dal 1974. Dopo due anni in Germania e quattordici in Inghilterra, nel 1990 si è stabilito in Canada. Già presidente del Comites, Comitato degli italiani all’estero (eletto nel 1995, 2000 e 2005), da oltre trent’anni è al servizio dei connazionali dirigendo il Patronato Inca-Cgil.
Msa. Perché ha deciso di lasciare l’Italia?
Di Trolio. Sono partito per motivi economici. Mi sono sposato giovanissimo, a 17 anni e mezzo. Prima ho raggiunto alcuni amici a Stoccarda e poi dei parenti a Londra. È qui che, dopo il terremoto dell’Irpinia nel 1980, attraverso i Cococo, Comitati consultivi consolari (ora Comites), abbiamo avviato una campagna di raccolta fondi, e ho scoperto il mondo dell’emigrazione. A Londra ho lavorato per due anni all’Inca e ho creato i «Campani nel mondo», un organismo che poi ho presieduto per dodici anni pure a Vancouver, dove sono stato tra gli artefici della nascita del Comites.
Quali sono i compiti del Cgie?
È un organo consultivo del governo, e porta in Parlamento tutte le tematiche elaborate dai Comites, come la promozione della cultura italiana, i servizi consolari, i diritti civili e il made in Italy. A causa della pandemia ci siamo riuniti via internet. In tempi normali, la plenaria si tiene in Italia anche tre volte all’anno. Senza dimenticare l’Assemblea permanente Stato-Regioni-Province Autonome-Cgie. La quarta si è tenuta dal 15 al 17 novembre scorsi, al Ministero degli esteri a Roma, finalmente in presenza.
Di quali cose fatte va più fiero?
Il Cgie non ha poteri decisionali, esprime solo pareri non vincolanti. Eppure siamo riusciti a realizzare due volte la Conferenza degli italiani nel mondo, l’ultima a Roma, e due volte la Conferenza dei giovani italiani nel mondo, l’ultima a Palermo. Poi abbiamo sostenuto il voto per gli italiani all’estero, con i primi parlamentari eletti alle elezioni politiche del 2006.
Il Cgie è ancora attuale nel 2022?
C’è spazio più per i Comites e i Cgie che per i parlamentari eletti all’estero, anche perché, dopo il referendum costituzionale del 2000, i senatori sono passati da sei a quattro, e i deputati da dodici a otto. Un deputato non può coprire un territorio enorme che va dall’Alaska a Panama. I Comites e il Cgie, invece, sono più vicini alle comunità italiane, e dunque sono più importanti che mai.
Quali sono le richieste più frequenti che arrivano dagli italiani?
Innanzitutto la riapertura dei termini per il riacquisto della cittadinanza. Poi ci sono criticità legate alla nuova mobilità, come l’equipollenza delle patenti di guida e dei titoli di studio, e problemi burocratici che non facilitano l’immigrazione. Con circa 150 mila giovani che ogni anno lasciano l’Italia, il Canada concede ogni anno 1.200 visti lavorativi di dodici mesi. Il Cgie è poi impegnato a migliorare l’efficienza dei consolati italiani, oggi carenti di personale.
Com’è cambiato il volto dell’emigrazione italiana negli ultimi ottant’anni?
Oggi emigrano professionisti con un titolo di studio. L’Italia li ha formati e gli altri Paesi li valorizzano. In Italia, un ricercatore del Cnr, il Centro nazionale delle ricerche, guadagna sui mille euro al mese. In Canada può portare a casa anche centomila dollari all’anno. Con la possibilità di fare carriera. E così i nuovi arrivati restano, e contribuiscono alla vita politica, sociale ed economica del Paese ospitante.
Come immagina il Cgie nel prossimo futuro?
Immagino un Cgie autonomo, con una sede propria, dei fondi a disposizione e una collaborazione sempre più stretta con i Comites. Gli italiani iscritti all’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, sono quasi sei milioni e aumentano di anno in anno. In un mondo globalizzato, è importante che gli organi di rappresentanza siano vicini alla realtà quotidiana dei connazionali. Con più autonomia decisionale, risorse economiche adeguate e l’innesto di giovani appena emigrati, il Cgie resta un organismo assolutamente utile e decisivo per gli italiani nel mondo.
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